Esistenza storica di Gesù
Per quanto riguarda l’esistenza storica di Gesù Cristo esistono numerose ragioni concettuali e prove storiche che la dimostrano ampiamente. Cercheremo ora di elencare alcune prove del passaggio su questa Terra del Signore Gesù, dove visse in carne ed ossa più di duemila anni or sono, prove “cristiane” e “non cristiane”, senza dimenticare che Egli è l'Unico Dio e Uomo che mai sia esistito e che mai esisterà. Il Vangelo, innanzitutto, da chi fu scritto? Da Matteo (un Apostolo che fu ex-esattore delle tasse per conto dei Romani), da Marco (un uomo che fu opportunamente istruito dall’Apostolo Pietro), da Luca (un medico, anche lui Discepolo), e da Giovanni (un altro Apostolo, quindi testimone oculare come Matteo delle opere del Signore, definito “il Discepolo che Gesù amava”, peraltro unico fra i Dodici che ascoltò direttamente le ultime parole di Cristo, morente sulla Croce). Una tipica prova indiretta e concettuale dell’esistenza storica di Gesù sono i contenuti del Nuovo Testamento, costituito dai tre Vangeli detti “sinottici” (per via della loro essenziale concordanza), dal Vangelo di Giovanni, dagli Atti degli Apostoli (ossia cosa essi fecero dopo l’Ascensione di Gesù al Cielo, in concomitanza, cioè, della Sua Presenza in forma tipicamente spirituale), dalle Lettere dei Suoi Apostoli, dalle Lettere di San Paolo e dal libro dell’Apocalisse. Secondo voi, è possibile che tali contenuti, così nuovi, dirompenti, spesso controcorrente, dall’inesauribile profondità spirituale e materiale, talvolta apparentemente avversi ad ogni “logica” e “buon senso”… siano stati semplicemente inventati? Creati a tavolino da un gruppo di persone (chissà chi, poi) che potevano prevedere un tale successo, costato un mare di “sangue, sudore e lacrime”, una tale globale diffusione, fino ai giorni nostri? Ai tempi di Gesù, certamente, esistevano molti “iniziati” ai “misteri”, anche di livello molto alto, ma nessuno – ripeto nessuno – poté non solo dire ciò che Gesù disse, ma addirittura operare segni e miracoli d’una portata tale che fu accessibile ai figli di Adamo solo dopo che Cristo visse e predicò, a parte alcuni rari casi che riguardano gli antichi Profeti, comunque anch’essi inseriti nell’alveo della Rivelazione, ossia delle Sacre Scritture, senza contare, naturalmente, il Miracolo dei miracoli: la Sua Risurrezione.
La più antica testimonianza cristiana che si conosca, riguardo alla verace origine dei Vangeli, è di Papia, Vescovo di Gerapoli; in una sua opera scritta all’incirca nell’anno 120 d.C., citata anche da Eusebio, riporta che, effettivamente, Matteo, Marco e Giovanni furono Evangelisti. Ireneo, Vescovo di Lione, nato a Smirne nel 130 e “discepolo” del Vescovo Policarpo, che fu diretto testimone dell’opera di San Giovanni Apostolo, scrisse: “Matteo, che stava fra gli Ebrei, pubblicò il vangelo in ebraico mentre Pietro e Paolo evangelizzavano Roma, e vi fondarono la Chiesa. Dopo la partenza di questi, anche Marco, il discepolo e l’interprete di Pietro, trascrisse ciò che Pietro aveva insegnato e Luca, compagno di Paolo, redasse il vangelo annunziato da quello. Di poi Giovanni, discepolo del Signore che riposò sul Suo petto, pubblicò il suo vangelo dimorando a Efeso nell’Asia.”
Una delle fonti non cristiane dell’esistenza di Gesù è lo storico giudeo Flavio Giuseppe, nato a Gerusalemme pochi anni dopo la morte di Cristo. Egli fu a capo della rivolta anti-romana dell’anno 66 d.C. Dopo essere stato sconfitto, riuscì, incredibilmente, a diventare servitore del comandante romano Vespasiano, che sarebbe divenuto poi Imperatore. Flavio Giuseppe fu autore delle “Antichità giudaiche”, in cui fece menzione di Gesù e dei cristiani, in maniera diretta e indiretta. Innanzitutto descrive la morte di Giovanni il Battista, il Precursore del Signore, che fu decapitato per ordine di Erode Antipa. Inoltre, nella sua opera, è riportato un altro decesso, quello di Giacomo “fratello di Gesù, chiamato il Cristo.” Flavio scrisse anche il “Testimonium Flavianum”, sempre nell’ambito delle “Antichità giudaiche”, che riportiamo di seguito:
"Ora, ci fu verso questo tempo Gesù, un uomo sapiente, seppure bisogna chiamarlo uomo: era infatti facitore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità. E attirò a sé molti Giudei, e anche molti dei Greci. Costui era il Cristo. E avendo Pilato, per denuncia degli uomini principali fra noi, punito lui di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti comparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già detto i divini profeti queste e migliaia d'altre cose mirabili riguardo a lui. E ancora adesso non è venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati i Cristiani"
A molti studiosi, tuttavia, questo testo appare eccessivamente elogiativo, soprattutto perché Flavio Giuseppe era giudeo, e per di più non cristiano. Nel 1971 il Prof. Shlomo Pinès, dell’Università Ebraica di Gerusalemme, scoprì una versione leggermente diversa del brano riportato, contenuta in un’opera araba del X secolo, denominata “Storia universale di Agapio”, Vescovo siriano di Hierapolis. Ecco cosa scrisse, più probabilmente, Flavio Giuseppe:
"A quell'epoca viveva un saggio di nome Gesù. La sua condotta era buona, ed era stimato per la sua virtù. Numerosi furono quelli che, tra i Giudei e le altre nazioni, divennero suoi discepoli. Pilato lo condannò ad essere crocifisso e a morire. Ma coloro che erano divenuti suoi discepoli non smisero di seguire il suo insegnamento. Essi raccontarono che era apparso loro tre giorni dopo la sua crocifissione e che era vivo. Forse era il Messia di cui i profeti hanno raccontato tante meraviglie"
Tuttavia, anche in questa versione “epurata” dalle possibili aggiunte o migliorie ad opera “d’ignoti”, l’esistenza storica di Gesù non è messa in alcun dubbio, come la condanna da parte di Pilato, il fatto che ebbe dei Discepoli, la “probabilità” della Sua Risurrezione e del fatto che Egli fosse, “forse”, il Messia preannunziato dai Profeti.
Nel 73 d.C., lo storico siriano Mara Bar Sarapion, in una sua lettera, riporta come i Giudei misero a morte il loro “saggio re”: appare dunque una cosa apparentemente assurda che il popolo giudaico, in un ben preciso momento storico, abbia messo a morte uno dei suoi “re”. Ricordiamo che la scritta che il Governatore Ponzio Pilato fece apporre sulla Croce, in latino, aramaico e greco, era “Gesù Nazareno Re dei Giudei”; il Messia, cioè il Cristo (l’Unto di Dio) ebbe infatti da sempre l’appellativo di “Re”.
Per quanto riguarda l’esistenza dei primi cristiani e delle loro comunità (la cosiddetta Chiesa Protostorica), abbiamo una lettera, scritta nel 112 d.C. da Plinio il Giovane, inviata all’Imperatore Traiano. In questa epistola si parla chiaramente dei cristiani di Bitinia, in Turchia, in questi termini: “Erano abituati a radunarsi prima del levare del sole, per cantare un carme a Cristo come a un Dio.”
Nel 117 d.C., anno in cui Nerone fece dare alle fiamme la città di Roma, per incolpare poi i cristiani (Problema-Reazione-Soluzione), lo storico Tacito scrisse negli “Annali”: “Ne presentò come rei e colpì con supplizi raffinatissimi coloro che il volgo, odiandoli per i loro delitti, chiamava Cristiani. L'autore di questa denominazione, Cristo, sotto l'impero di Tiberio (imperatore dal 14 al 37 d.C.,), era stato condannato al supplizio dal Procuratore Ponzio Pilato; ma, repressa per il momento, l'esiziale superstizione erompeva di nuovo, non solo per la Giudea, origine di quel male, ma anche per l' Urbe, ove da ogni parte confluiscono tutte le cose atroci e vergognose.”
Anche lo storico Svetonio conferma la persecuzione contro i cristiani, operata durante l’impero neroniano; egli scrisse infatti che essi “furono sottoposti a supplizi”; tuttavia Svetonio, essendo dalla parte del regime, li definisce “razza di uomini d'una superstizione nuova e malefica”. In questo modo, però, non nega la loro esistenza storica.
Giustino di Nablus, nel suo “Dialogo col giudeo Trifone”, menziona Gesù in quanto “impostore Galileo”, ed il Cristo, effettivamente, era un Galileo, anche se nato a Betlemme di Giudea (ma, naturalmente, non fu un impostore): “È sorta un'eresia senza Dio e senza Legge da un certo Gesù, impostore Galileo; dopo che noi lo avevamo crocifisso, i suoi discepoli lo trafugarono nottetempo dalla tomba ove lo si era sepolto dopo averlo calato dalla croce, ed ingannano gli uomini dicendo che sia risorto dai morti ed asceso al cielo.” Il medesimo Giustino, nella Seconda Apologia, riporta il parere di un filosofo sui cristiani: “Veramente è ingiusto ritenere per filosofo colui che, a nostro danno, rende pubblicamente testimonianza di cose che non conosce, dicendo che i Cristiani sono atei e scellerati; e dice ciò per ricavarne grazia e favore presso la folla, che resta ingannata.”
Un altro riferimento alla figura del Cristo è contenuto nel “Talmud di Babilonia”, testo tradizionale ebraico scritto nel V-VI secolo, in cui si afferma che Egli fu giustiziato alla vigilia di Pasqua in quanto “praticava la stregoneria”. I cristiani vengono menzionati anche nella preghiera ebraica denominata Birkat Ha Minim, facente parte del testo liturgico delle “Diciotto Benedizioni”, redatto nel I secolo: “Che per gli apostati non vi sia speranza; sradica prontamente ai nostri giorni il dominio dell'usurpazione, e periscano in un istante i Cristiani e gli eretici: siano cancellati dal libro della vita e non siano iscritti con i giusti. Benedetto sei tu, Signore, che schiacci gli arroganti.”
Uno dei primi storici romani ad affermare la realtà della crocifissione di Gesù fu un certo Tallo; Sesto Giulio Africano, in un suo scritto, commenta un passo di Tallo che parla del misterioso fenomeno dell’oscurità che, come sostengono le Scritture, si ebbe alla morte di Gesù: “Tallo, nel terzo libro della sua Storia, definisce questa oscurità un'eclisse solare. Questo mi sembra inaccettabile.” Anche Dione Cassio, storico e senatore, cita i cristiani nella sua “Storia romana”: “Tutti adunque convengono nel dire che Antonino fu uomo giusto e dabbene; perciocché né gli altri sudditi aggravò, ne i Cristiani, ai quali grande rispetto e venerazione usò, e l’onore accrebbe col quale erano stati trattati da Adriano. Perciocché da Eusebio Panfìlio nella istoria si riferisce certa epistola di Adriano, nella quale gravemente sdegnato si mostra con coloro che i Cristiani molestavano o denunciavano…”
Dal momento che i Romani, spesso, usavano inserire nel loro “Pantheon” le divinità dei popoli da loro vinti, Tertulliano, nell’Apologetico, riferisce che l’Imperatore Tiberio avrebbe proposto al Senato di Roma di riconoscere Gesù come Dio; tuttavia la proposta venne bocciata. Secondo Tertulliano questo fatto fu la base giuridica per le successive persecuzioni contro la Chiesa di Cristo. Leggiamo quanto riportato nei suoi scritti: “Dunque Tiberio, al tempo del quale il Cristianesimo entrò nel mondo, i fatti annunziatigli dalla Siria Palestina, che colà la verità avevano rivelato della Divinità stessa, sottomise al parere del senato, votando egli per primo favorevolmente. Il senato, poiché quei fatti non aveva esso approvati, li rigettò. Cesare restò del suo parere, pericolo minacciando agli accusatori dei Cristiani.”
L’Imperatore Adriano, rispondendo ad una lettera di Quinto Licinio Silvano Graniano, Proconsole della Provincia d’Asia, in cui si chiedeva come avrebbe dovuto comportarsi nei confronti dei cristiani su cui pendevano accuse anonime, scrisse, come riportato da Eusebio di Cesarea nella “Storia Ecclesiastica”: “Se pertanto i provinciali sono in grado di sostenere chiaramente questa petizione contro i Cristiani, in modo che possano anche replicare in tribunale, ricorrano solo a questa procedura, e non ad opinioni o clamori. È infatti assai più opportuno che tu istituisca un processo, se qualcuno vuole formalizzare un'accusa. Allora, se qualcuno li accusa e dimostra che essi stanno agendo contro le leggi, decidi secondo la gravità del reato; ma, per Ercole, se qualcuno sporge denuncia per calunnia, stabiliscine la gravità e abbi cura di punirlo.”