Il dialogo con Dio
Se tu vuoi sapere qual è il valore della tua vita, vedi quale peso ha in essa l'adorazione.
Nella preghiera tu sei soprattutto attirato dal moto d'amore di Dio che viene a salvarti in Gesù Cristo. In questo modo potresti metterti al centro e rinchiuderti in una specie di utilitarismo spirituale. Spezza questo cerchio per osare, in un gesto gratuito di adorazione, il movimento ascendente contrario. Tu sei fatto per adorare Dio e la tua vita troverà il suo vero centro di gravità quando ti prosternerai nella polvere davanti al Dio tre volte Santo della visione d'Isaia. (Capitolo 6)
I cristiani parlano ancora molto di Dio: fanno anche molte cose per lui, ma vanno perdendo il senso dell'adorazione; e per questo rischiano l'ateismo. Un Dio che non si adora non è il vero Dio. Tu devi riconoscere che Dio solo è Dio e che l'adorazione è il tuo primo dovere. Questo atto non è che un anticipo, un pregustare quello che farai eternamente nel cuore della santissima Trinità.
Adorare non è per te solo un dovere che deriva dalla tua condizione di creatura: esso è la forma più elevata della tua vita di uomo. Adorando Dio, tu proclami la Sua santità, ma al tempo stesso affermi la tua grandezza di uomo libero davanti a lui: “Il valore di una vita, dice padre Monchanin, è dato dal posto che vi ha l'adorazione”. Quando vuoi Dio per Dio, adorandolo, allora trovi la tua libertà di uomo.
È vero che la Chiesa deve continuamente ricordare che Cristo è venuto a salvare l'uomo e che i cristiani devono mettersi al servizio dei fratelli, ma essa tradirebbe la sua missione se riducesse il cristianesimo ad una pura diaconia fraterna: la fede si degraderebbe in un umanesimo monco. Oggi gli uomini soffocano in una società di consumi; essi hanno lo stretto diritto di vedere la Chiesa quale deve essere nella sua vera missione: rivolta verso gli uomini da salvare, ma prima di tutto verso Dio da adorare e da amare.
Chiedi lungamente e con fervore allo Spirito Santo il senso dell'adorazione, e poi prosternati davanti a Dio nell’atteggiamento di colui che è colpito insieme dall'esperienza della santità di Dio e dal senso del proprio peccato: “Adorare Dio, dice il padre Geffré, è abbassare gli occhi davanti alla Sua Gloria”. “Quando Mosè sentì la voce di Dio nel roveto ardente, si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio” (Es 3,6). Solo Cristo rende una lode perfetta di adorazione al Padre: chiedigli di riprodurre in te quel movimento che lo faceva tendere ad Patrem.
Per adorare, tu devi intravedere la Gloria di Dio, ossia la Sua grandezza inaccessibile e la Sua santità incomparabile. Ma Dio non si rivela mai come totalmente Altro senza rivelarsi insieme come vicinissimo, poiché è Amore. Il Dio santo è anche inscindibilmente il Dio Amore che ti fa partecipare alla Sua vita trinitaria. Dio è adorabile perché è Amore.
Il tuo stesso corpo è chiamato a esprimere l'adorazione del tuo cuore. In certi momenti tu non potrai fare altro che prosternarti con la faccia a terra (Ez 1,28), poiché la santità di Dio è un mistero che sfugge sempre alla presa dell'uomo. Tu ti nasconderai il volto fra le mani, ma sentirai Dio chiamarti per nome. Prenderai così coscienza del tuo peccato di fronte alla santità di Dio. Ma il Dio Santo non annienta il peccatore, lo purifica. L'angelo tocca la bocca d'Isaia con della brace presa dall'altare, per purificarla.
In fondo, è contemplando Gesù Cristo che scoprirai la santità e la vicinanza di Dio. In Lui tu hai l'intimità del Dio totalmente Altro con l'uomo. Egli è l'unico adoratore del Padre: “È giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori” (Gv 4,23). Nell'orazione sei ghermito dallo Spirito che ti configura a Cristo. A sua volta, il Figlio ti conduce nelle profondità del Padre e ti fa partecipare alla sua stretta d'amore. È dalle labbra e dal cuore del Cristo che sale la perfetta adorazione del Padre. Immergiti sempre di più nel Cristo.
Desidera Dio con tutte le forze del tuo cuore, ma non mettere mai la mano su di Lui per impadronirtene. Allora soltanto Egli verrà a te.
Non t'illudere di poter conquistare Dio con la forza delle tue braccia o di sedurlo con la bellezza delle tue parole. Tu non puoi nemmeno fare un passo verso di Lui, senza che Egli non ti sia prima venuto incontro. È Lui che viene a conquistarti e a sedurti; purtroppo le orecchie del tuo cuore sono spesso chiuse alle Sue chiamate. Dio gira intorno a te e aspetta che tu apra una breccia nel tuo cuore per irrompervi con tutto il dinamismo del suo amore.
Questa breccia sarà il tuo desiderio orientato verso di Lui. È la sola forza capace di forzarlo a scendere verso di te. Ma occorre che il tuo cuore sia totalmente abitato da un desiderio ardente di Dio, il quale non sopporta alcuna divisione. Chiedi spesso allo Spirito Santo di scavare nel tuo cuore, perché possa sgorgare nel più profondo di te questo desiderio di Dio.
Solo il desiderio obbliga Dio a discendere. Tu non puoi salire verso di Lui, poiché la direzione verticale ti è radicalmente interdetta: "Non esiste una scala con la quale l'intelligenza possa arrivare a raggiungere Dio" (San Giovanni della Croce). Se tu guardi a lungo e intensamente verso il Cielo, Dio scenderà e ti solleverà. E sempre Lui che ti cerca: “Stanco, ti sei seduto nel cercarmi”. Non puoi cercare Dio, non puoi fare nemmeno un passo verso di Lui, se non sei sollecitato interiormente, o espressamente chiamato.
Se lo supplichi di venire, Egli verrà a te. Anzi, se glielo chiedi spesso, a lungo e ardentemente, Egli non può fare a meno di scendere verso di te. Tu devi comprendere che la preghiera assomiglia all'amicizia fra due esseri umani. Medita spesso queste parole di Simone Weil in Attente de Dieu a proposito dell'amicizia, e applicale alla tua relazione con Dio.
“L'amicizia è il miracolo col quale un essere umano accetta di guardare da lontano e senza avvicinarsi l'essere che gli è necessario come un nutrimento. È la forza d'animo che Eva non ha avuto, e tuttavia non aveva bisogno del frutto. Se essa avesse avuto fame nel momento in cui guardava il frutto, e se malgrado ciò fosse rimasta indefinitamente a guardarlo, senza fare un passo verso di esso, avrebbe compiuto un miracolo analogo a quello della perfetta amicizia”.
Propriamente parlando, tu non puoi fare alcuno sforzo per raggiungere Dio, o piuttosto lo sforzo che ti è chiesto è quello di guardare, ascoltare e desiderare. Devi essere attento al dono che Dio ti fa di Se Stesso e consentirvi, come Maria all'annunciazione, dicendo Fiat. L'orazione è un atto di attenzione e di consenso a Dio, che non cessa di aggirarsi intorno al tuo cuore.
La preghiera, come l'amicizia, è una gioia gratuita. Non devi cercarla per se stessa. Devi essere in attesa, povero e spoglio, per essere degno di riceverla. Pregare è nell'ordine della Grazia. Se passi tutta la tua orazione a desiderare Dio, senza volerlo afferrare né trarne profitto, puoi essere sicuro di avere ricevuto una grande grazia, poiché non avresti il desiderio di Dio se Egli non fosse presente e non agisse nel più intimo di te per suscitare questo desiderio. Se Dio non fosse in te, non potresti sentirne l'assenza.
E se il tuo cuore è arido, se sei come un ciocco o un animale davanti a Dio, senza alcun desiderio di Lui, grida il tuo dolore con veemenza, bussa alla porta di Dio finché non ti aprirà. Sta certo che il Padre non ti darà una pietra se gli chiedi del pane. Egli vuole concederti quello che gli domandi, ma aspetta che tu perseveri sino alla fine delle tue forze.
Fare l'esperienza di Dio significa immergersi in questo mistero silenzioso che tu chiami Dio senza riceverne apparentemente altra risposta che la forza di continuare a pregare, a credere, a sperare e ad amare.
Quanti uomini si volgono oggi verso le religioni orientali per chiedere: “Quale esperienza ci offrite?”. Gli stessi cristiani parlano molto dell'esperienza di Dio, ma purtroppo la concepiscono spesso come un pio sentimento o un'emozione religiosa di ordine superiore, mentre l'esperienza spirituale è molto di più e cosa ben diversa da questo. Dio non si offre agli uomini come uno spettacolo per i loro occhi o una esaltazione per il loro sentimento.
Eppure, vi è un'autentica esperienza della Grazia, ossia una invasione del nostro essere umano da parte dello Spirito del Dio trinitario, che si è realizzata in Gesù al momento della Sua Incarnazione e del Suo Sacrificio sulla Croce. Sì, ti è possibile fare questa esperienza della Grazia nella tua vita di uomo, ma essa è oscura, misteriosa e non coincide mai con quello che tu ti aspettavi. È sempre un'esperienza di dono e di gratuità, nella quale ti offri in uno spogliamento di te stesso per lasciare che il Dio infinito agisca in te.
Per avvicinarti un poco a questa esperienza della vita divina in te, guarda come il Cristo ha preso realmente coscienza di Sé come Figlio di Dio, come ha conosciuto il Padre, cioè quale esperienza ha fatto di Lui. Certo, Gesù è vissuto in un'intimità profonda con il Padre nelle Sue ore di preghiera notturna, ha ascoltato questa parola: “Questi è il Mio Figlio diletto”, ma ha conosciuto veramente il Padre nell'agonia e sulla Croce. Egli attendeva dal Padre un aiuto diretto, una di quelle consolazioni visibili che avrebbero dovuto allontanare da lui il calice. Ma il Padre non gliel'ha concessa, perché egli rifiuta sempre questa consolazione ai suoi amici migliori. Il Cristo ha veramente fatto l'esperienza della Grazia nel momento in cui, abbandonato dagli uomini e immerso in una solitudine spaventosa, ha ugualmente bevuto liberamente il calice per amore. Cristo mette direttamente in rapporto questa conoscenza sperimentale del Padre e il fatto di dare la sua vita: “Conosco il Padre e offro la Mia vita per le Mie pecore” (Gv 10,15).
Se vuoi fare l'esperienza di Dio, non puoi fare a meno dell'esperienza di Gesù. Nel momento in cui il silenzio di Dio pesa terribilmente su di te, nel momento in cui tu avresti bisogno di un aiuto diretto da parte Sua, se perseveri nel credere, nello sperare e nell'amare, tu sperimenti il vero miracolo della fede e della Presenza di Dio in te, poiché non potresti agire così se Dio non intervenisse direttamente.
K. Rahner descrive efficacemente alcune situazioni nelle quali facciamo l'esperienza della Grazia: “Ci è forse già accaduto di obbedire non perché dovevamo farlo per evitare degli inconvenienti, ma semplicemente a causa di quel mistero, di quel silenzio... che chiamiamo Dio e la Sua Volontà... Siamo mai stati una volta veramente soli? Ci è già accaduto di prendere una decisione qualsiasi unicamente a causa dell'appello più intimo della nostra coscienza... Quando si è assolutamente soli e si sa di prendere una decisione che nessuno può prendere al posto nostro e di cui siamo per sempre responsabili? Ci è mai accaduto di amare Dio quando nessun moto di entusiasmo sensibile più ci sostiene... Quando questo sembra un salto spaventoso nell'abisso, quando tutto sembra divenire incomprensibile e apparentemente assurdo? Siamo stati qualche volta buoni verso un uomo dal quale non ci attendevamo nessuna eco di riconoscenza o di comprensione?” (Vivere e credere oggi).
È in questo dono gratuito di te stesso a Dio e agli altri che sperimenti veramente la Grazia, e ciò non avviene solamente sul piano della speculazione intellettuale, ma nei momenti quotidiani della tua esistenza. Ugualmente quando soffri e vedi prolungarsi la tua sofferenza, se seguiti a credere in Dio Amore, soltanto allora sei vicino a Dio. Dì bene questo a te stesso: tu fai un'autentica esperienza di Dio, o, più semplicemente, sei un uomo di preghiera quando possiedi il coraggio di gettarti, durante tutta la tua vita, in questo mistero silenzioso di Dio senza riceverne apparentemente altra risposta che la forza di credere, di sperare, di amare Dio e i tuoi fratelli, e quando, in definitiva continui a pregare.
Non pregare con la tua intelligenza o con la tua sensibilità, ma esala il tuo cuore dinanzi a Dio.
Devi continuamente ripeterti che il luogo della preghiera è il tuo cuore, cioè il centro del tuo essere, là dove tu sei te stesso pienamente libero, dove ti apri o ti chiudi a Dio. Il tuo cuore è la sorgente stessa della tua personalità cosciente, intelligente e libera, e soprattutto il luogo nel quale sei abitato dalla presenza dello Spirito. Discendi sempre più profondamente in questi abissi di silenzio dove comunichi con la vita stessa della Trinità.
Troppo spesso tu pensi che pregare sia esporre davanti a Dio delle belle considerazioni intellettuali. Non t'ingannare: Dio non ha bisogno delle tue idee, perché ne ha di infinitamente più belle. Ugualmente, la preghiera non può consistere in sentimenti o risoluzioni morali. Devi pregare con il tuo cuore, con il tuo essere tutto intero. Pregare è innanzi tutto porsi di fronte a Dio sotto il suo sguardo. Se il tuo cuore è con Dio, il resto seguirà, e tu saprai quello che gli devi dire e quello che devi fare.
Spogliati del non-essere e del sembrare per fare emergere davanti a Dio il fondo del tuo cuore. Non è facile essere nella verità davanti a Dio, perché spesso reciti solo una parte davanti ai tuoi occhi e a quelli dei tuoi fratelli. E poi ti sei fabbricato delle tuniche di pelle per proteggerti dal fuoco divorante del roveto ardente. Bisogna prima liberare il tuo essere profondo e rianimarlo. Poi ti esporrai, povero e nudo, all'irradiazione della vita trinitaria. Allora forse, dopo anni di preghiera “disincrostante”, il tuo essere sarà aspirato dalla grande corrente che circola fra il Padre e il Figlio.
Il tuo essere è la tua sostanza. Tu vali molto di più delle tue parole, dei tuoi pensieri e delle tue azioni. È il tuo essere che devi donare a Dio, spoglio di ogni tuo avere e di ogni tuo agire. Quante volte i tuoi possessi ti hanno impedito di esistere! Più progredirai nella vita di preghiera, più diventerai povero, spoglio e semplice. Allora pregherai dal fondo del tuo essere, al di là delle parole. Come il padre de Foucauld, ti presenterai davanti a Dio, in pura perdita di te stesso.
Nella preghiera, apri le valvole del tuo cuore e permetti all’acqua viva di irrigarti fino nel più profondo del tuo essere.
Quando leggi gli Atti degli Apostoli, tu assisti a una invasione dello Spirito che trasforma i cuori e arriva persino a restituire la salute agli infermi. Si direbbe veramente un incendio che progressivamente invade tutti, e che nessuna potenza umana può fermare. Tu sei immerso oggi in un mondo in cui Dio è assente, e spesso, con le esigenze della tua fede, fai la figura di un originale. In certi giorni vorrti quasi che Dio ti concedesse una di quelle visite intempestive dello Spirito, per procurarti la sicurezza, “una di quelle parentesi con la quale la tua anima, che è incarnata in una carne debole, possa un poco ristorarsi per riprendere forza” (Moeller).
Credi tu che il braccio di Dio sia oggi troppo corto per operare tali meraviglie? Non pensi che possa essere la tua sapienza umana troppo corta per permettere a Dio simili segni? Se la tua fede fosse un poco più grande, sia pure della grandezza di un grano di senape, tu assisteresti ancora a simili irruzioni di Dio in te e nel mondo. Allora spalanca il tuo cuore a questo dinamismo dello Spirito e lascia sulla riva i tuoi dubbi, le tue pene e le tue esitazioni. Dà fiducia allo Spirito ed egli agirà nel tuo cuore.
La preghiera è quel momento unico e privilegiato nel quale tu apri le chiuse del tuo cuore a questa irruenza dello Spirito Santo. Il battesimo ha fatto, o no, di te una creatura nuova, uno stesso essere con Cristo? Ha fatto scendere, o no, in te quella vita trinitaria capace di cambiare la faccia del mondo? Il messaggio del Cristo risorto è di una semplicità sconcertante: un vero incontro con Dio produce la conversione del tuo cuore, la trasformazione del tuo essere.
Nel prendere possesso di te nel battesimo, Gesù ti ha fatto rinascere a una vita nuova; non ti ha promesso una ricompensa o una felicità per domani, ma una vita totalmente diversa, la Sua vita: “In verità, in verità, ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel Regno di Dio. Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito. Non ti meravigliare se t'ho detto: dovete rinascere dall'alto” (Gv 3,5-7). Nel cuore del messaggio evangelico vi è una buona novella di trasformazione. Non sarà per i tuoi sforzi che arriverai a questo cambiamento: è lo Spirito Santo che lavora in te.
Non vi è zona del tuo essere che non subisca l'influenza di questa vita nuova; il tuo stesso inconscio è raggiunto da essa. E tu sai quanto questa parte misteriosa del tuo essere s'impadronisca senza posa di te per orientare e dinamizzare i tuoi atti. Il Cristo vive realmente in te e la Sua vita tende a invadere tutta la tua persona e il tuo stesso inconscio. Nell'intimo della tua vita, tu sperimenti conflitti dolorosi: il peccato ha lasciato in te, fin nella tua psiche, tracce profonde che senza dubbio non potrai mai individuare né cancellare.
Ricordati della potenza dello Spirito: egli è l'autore della prima creazione come della seconda a Pentecoste. È lo Spirito di forza e di dolcezza e ti invita ad affidargli tutta la tua vita: lavoro, riposo, gioia, sofferenza ed anche i tuoi conflitti. Non interverrà in te con una bacchetta magica, perché rispetta troppo la tua libertà, ma ti farà riconoscere la presenza di Dio nel cuore della tua vita umana dando un senso a tutto quello che vivi.
Nell'orazione, chiedi allo Spirito di venire nella tua vita affinché tu divenga una creatura nuova in Gesù Cristo. Se avessi abbastanza fede, vedresti delle cose ancora più grandi di quelle che desideri. Lo Spirito non metterà a soqquadro il tuo essere, ma ti darà uno sguardo nuovo per accettare queste tensioni, per assumerle nella morte e risurrezione di Gesù; Egli ti infonderà la forza del Suo amore perché tu possa ridurre il più possibile i tuoi conflitti. Soprattutto toglierà dal tuo cuore il peccato, che è alla radice di tutte le tue sofferenze, e ti darà la pace per vivere armoniosamente pur con tutte queste tensioni interiori. Nella preghiera crescerà questo uomo nuovo a misura del Cristo, che è nascosto in te allo stato di piccolo figlio di Dio: “Fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando Egli si sarà manifestato, noi saremo simili a Lui, perché Lo vedremo così come Egli È» ( I Gv 3,2 ).
Nella preghiera tu ti immergi in Dio e scopri in te delle profondità insospettate.
Vi sono in te delle “estremità della terra” ancora inesplorate, delle zone vergini dove tutte le creazioni e risurrezioni sono possibili, se sei disposto a lasciarti trasportare in questo mondo misterioso.
Coloro che si sono tuffati nelle profondità dell'oceano, sono stati affascinati dalle meraviglie che hanno contemplato e anche se vi sono rimasti solo un quarto d'ora, questo mondo del silenzio è divenuto per loro indimenticabile. E quando, nella vita quotidiana, si vedono travolti dal chiasso sterile delle beghe e dei litigi ai quali gli uomini non sfuggono, o dalla dispersione e dalla alienazione, essi possono in un lampo riaprire nel fondo di se stessi la memoria sempre fresca di questo grande silenzio per ritrovare la calma, la pace e far fronte alle difficoltà con maggior larghezza di vedute, con più obiettività e serenità e grandezza d'animo.
Nella tua vita dissipata, non ti manca forse qualche cosa di simile? Talvolta ti accade di fare l'esperienza di questa intima immersione nel dialogo di amicizia, dove svaniscono le durezze e le opacità del tuo essere oscuro, e provi davanti all'altro un sentimento di trasparenza e di comunione al di là delle parole, nelle profondità del tuo essere, un sentimento che genera una pienezza di gioia. Due esseri si levano allora, uno di fronte all'altro, in una comunione di presenza che supera tutto quello che le parole possono esprimere.
Un'esperienza simile ti fa intuire quali profondità ti si potrebbero rivelare nel dialogare con Dio. Non vi è paragone fra questo mondo del silenzio che risulta dall'esperienza umana e il mondo del silenzio di Dio. Infatti, l'interiorità cristiana non è di ordine psicologico, ma è quella che Dio crea in te; Egli scava nel tuo cuore uno spazio largo e profondo per comunicarti la Sua interiorità. Essere nato da Dio è come essere stato ripreso e riplasmato nel seno stesso di Dio. È come tornare al mondo dopo avere preso un bagno in un'acqua profonda e luminosa, quella della verità del Dio Amore.
Quando ti si presentano i problemi e le complicazioni della vita, quando cerchi la volontà di Dio su di te o quando desideri ritrovare l'unità della tua vita, devi potere, in un lampo, rinnovare la memoria delle profondità di Dio in cui sei nato. Dio ti fa la grazia di partecipare alla Sua interiorità. Non ti puoi avvicinare ad essa scavando le profondità del tuo essere umano; Dio solo può introdurti con la Grazia. In una parola, tu devi rinascere nel seno del Padre per diventare “figlio di Dio” (Gv 1,12).
L'orazione è il mezzo privilegiato per immergerti nuovamente e senza posa in questa luce dalla quale sei nato. Tu entri nella corrente di vita universale fino alla vita di Dio. Se essa è un autentico faccia a faccia con Dio, e non un compiacersi del tuo io, la preghiera deve fare emergere alla tua coscienza le profondità insospettate del tuo essere. Scoprirai delle zone di conoscenza e di amore ancora inesplorate, che nasceranno alla vita sotto l'azione dello sguardo di Dio. Dio è la vera sorgente del tuo essere, più vicina a te di te stesso.
Pregare è lasciarti trasportare nelle profondità trinitarie, dove Dio ti plasma e ti rimodella a sua immagine. Non essere sorpreso se il tuo essere di uomo trova una ricchezza di gioia e di pienezza. Il tuo essere, i tuoi pensieri, le tue parole e i tuoi atti assomigliano un poco a delle ceste più o meno bene intrecciate. Perché possano contenere la verità di Dio che è l'acqua viva, devi immergerle continuamente in questa sorgente dalla quale sei nato, altrimenti l'acqua scorre via e non ti rimane che un essere fatto di cose inaridite. Che tu non sia un paniere bucato!
Riserva nelle tue giornate dei tempi forti d'immersione in Dio, sia pur brevissimi, sia pure della durata di un respiro, che aprono a Dio l'accesso alle profondità più segrete della tua vita. Non passare mai una settimana senza riservare un lungo momento alla preghiera silenziosa e alla contemplazione prolungata della parola di Dio. Se, nella preghiera, non perseveri per un tempo sufficientemente lungo da sperimentare i limiti delle tue forze umane, non sarai mai pervaso dalla preghiera dello Spirito Santo. È per questo che l'orazione prolungata è una necessità della tua vita cristiana. È importante determinare il ritmo di questi incontri con Dio la domenica o nei giorni di riposo.
Dal libro "Prega il Padre tuo nel segreto" di Jean Lafrance
Spiritualità Cristiana e Cattolica - Riflessioni e principi
La Chiesa Cattolica considera la vita umana e la persona umana incommensurabilmente preziose. Le Scritture rivelano che Dio conosce e ama intimamente ciascuno di noi.
Non ti erano nascoste le mie ossa
quando venivo formato nel segreto,
intessuto nelle profondità della terra.
Ancora informe mi hanno visto i Tuoi occhi
e tutto era scritto nel Tuo libro;
i miei giorni erano fissati,
quando ancora non ne esisteva uno.
Quanto profondi per me i Tuoi pensieri,
quanto grande il loro numero, o Dio;
se li conto sono più della sabbia,
se li credo finiti, con te sono ancora.
Salmo 139, 15 - 18
Sion ha detto: «Il Signore mi ha abbandonato,
il Signore mi ha dimenticato».
Si dimentica forse una donna del suo bambino,
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se queste donne si dimenticassero,
Io invece non ti dimenticherò mai.
Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle Mie mani,
le tue mura sono sempre davanti a me.
Isaia 49, 14 - 16
Cosa significa "essere umano" ?
Una comprensione cristiana della persona umana si basa sulla premessa che siamo allo stesso tempo esseri fisici e spirituali; un aspetto non è distinto dall'altro. I nostri corpi ci rappresentano nel mondo ed è attraverso i nostri corpi che esprimiamo il nostro spirito. Lo spirito umano, come inteso dalla Chiesa Cattolica, è orientato al bene. Ogni persona è creata per cercare ciò che è buono e giusto, ciò che è "di Dio". Questa è la coscienza, intesa come la Legge scritta da Dio su ogni cuore umano.
Ogni essere umano è dotato da Dio del libero arbitrio. Questo significa che siamo liberi di accettare o rifiutare l'invito di Dio a condividere la Vita di Dio e camminare nelle vie mostrate da Gesù a noi. Il Dio che incontriamo nella libertà è colui che ci invita ad essere compagni del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo nell'opera della creazione e della salvezza.
L'essere umano ha quindi un carattere essenzialmente interpersonale e comunitario. La libertà di cui gode ogni individuo è una realtà completamente sociale, perché è attraverso la nostra connessione con gli altri che scopriamo la nostra identità di esseri umani e cresciamo per essere completamente umani. Le persone sono attratte ad amare e a condividere se stesse nell'amore.
"Dio, che ha creato l'uomo per amore, lo chiama anche all'amore, la fondamentale vocazione innata di ogni essere umano".
Cosa significa essere creati a immagine di Dio ?
Allora Dio disse: "Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza...". Così Dio ha creato l'uomo a Sua immagine, a immagine di Dio l'ha creato, maschio e femmina li creò.... Dio vide tutto quello che aveva fatto, e invero era molto buono. Genesi 1:26, 27, 31
Una convinzione fondamentale nella nostra tradizione cattolica, basata sulle narrazioni della creazione del Libro della Genesi, è che ogni persona è creata a immagine di Dio. Viene descritto come Dio fece la "creatura terrestre" e soffiò nelle sue narici rendendola un essere vivente. Lo Spirito di Dio anima la terra e la rende umana.
Creati a immagine di Dio e animati dallo Spirito, tutti gli esseri umani riflettono in modo unico la loro origine divina e il mistero della presenza di Dio nel loro essere. Il sigillo del divino non può mai essere cancellato. Ecco perché ogni individuo ha una dignità innegabile e un valore che suscita in tutti un profondo rispetto e onore. Ne consegue che la dignità umana non poggia mai su considerazioni di razza, stato sociale, realizzazione o sforzo personale. Tutti, piuttosto, sono chiamati a riconoscere la dignità dell'altro.
Spesso la dignità umana o il valore degli individui sono oscurati dall'uso improprio della libertà, cioè attraverso il peccato. Il peccato è il rifiuto di accettare di vivere secondo Dio, secondo il Suo dono d'amore gratuito. Come spiega chiaramente Matteo (25,37 - 40), il Signore dell'Amore ci incontra soprattutto nelle persone dei poveri, dei malati e dei dimenticati. Non solo la peccaminosità sorge dall'abuso della libertà umana, ma è anche evidente che il peccato deforma le strutture della vita sociale e inibisce la prosperità umana. Dove ingiustizia, povertà e oppressione prevalgono, in qualsiasi società, la dignità e il valore di coloro che vivono in essa sono minati.
Noi Cristiani crediamo che la Morte e la Risurrezione salvifica di Gesù hanno vinto il potere del peccato nel mondo. L'Amore, la Vita e la Grazia di Dio, condivisi con l'umanità, abilitano le persone a vivere una vita degna della loro vocazione di Popolo di Dio.
La morte è una realtà, insieme inevitabile e universale; non c'è modo di evitarla. I Cristiani hanno sempre visto la morte alla Luce della Risurrezione di Gesù, che è la vita eterna promessa da Dio all'umanità. Nel parlare della fine della vita i cristiani considerano non solo la sua fine corporale, ma il suo scopo e la destinazione futura. La Vita e la Risurrezione di Gesù Cristo sono una realtà che il credente ha già cominciato a condividere con Cristo nella vita dello Spirito. La Risurrezione di Gesù è il pegno di gloria futura di Dio nella sua pienezza, quando tutta la creazione sarà fatta nuova. Gli esseri umani sono resi presenti a tutto e a tutti attraverso la loro corporeità, collegati a tutta l'umanità, alla terra e al cosmo. La fede nella vittoria dell'amore salvifico di Dio è il fondamento della speranza che tutti saranno salvati e alla fine godranno della Gloria di vedere Dio faccia a faccia in Paradiso.
Dio si è reso visibile nella storia umana attraverso la Persona di Gesù, che è il modello per una vita veramente umana. Con le Sue Parole e le Sue Azioni Gesù ha mostrato che Dio cerca coloro che sono perduti, perdona coloro che fanno il male, li tiene teneramente nella loro fragilità e li ama fedelmente, anche quando l'amore non è ricambiato. Il dono di Sé di Gesù nell'Eucarestia abilita i cristiani a condividere la Vita di Dio e li unisce a tutto il creato, impegnandoli alla condivisione e a lavorare per la giustizia nel mondo.
"Spiritualità" è una parola d'ordine nel nostro tempo, la quale genera molte posizioni di accoglienza attiva. I ricercatori spirituali abbondano e c'è una miriade di risorse disponibili da cui attingere, portanti la definizione di "pratica spirituale". Materiali spirituali nelle librerie e in Internet continuano a moltiplicarsi ad un ritmo sbalorditivo, come le persone di ogni ceto sociale e religiose, che hanno come obiettivo primario della vita il "diventare spirituali".
Il termine "spiritualità" può portare un potere stellare all'inizio del ventunesimo secolo, ma c'è molta confusione riguardo a cosa significhi. La gente trova spesso difficile dare la giusta importanza alle varie pratiche spirituali. Come si fa decidere riguardo ad una pratica spirituale? L'obiettivo diventa ancora più impegnativo quando, sullo sfondo, si considerano la spiritualità e la religione due entità separate. Gli studiosi di spiritualità sollevano sostanziali preoccupazioni circa l'ampliamento del divario percepito fra spiritualità e religione. Si chiedono se la spiritualità stia diventando una grande merce in questa nostra cultura consumistica. Purtroppo, sovente sembra proprio così. Troppo spesso la spiritualità è presentata o venduta come un nuovo e migliorato sostituto della religione. Tale "divisione" fra spiritualità e religione, a volte, può rappresentare un pericolo, se l'argomento non è ben compreso.
A volte si sentono dei commenti come questo: "Io sono spirituale, ma non religioso". L'enunciato suggerisce una non familiarità o indifferenza alla propria tradizione religiosa di origine. Indica spesso insoddisfazione o frustrazione per una particolare espressione di istituzione religiosa. A volte segnala una percezione limitante della religione come "anemica" o "seriosa". Coloro che affermano di essere "spirituali" ma "non religiosi" meritano di essere ascoltati. Le istituzioni religiose, come l'umanità in generale, avrebbero a volte bisogno di impegnarsi maggiormente nel dialogo, nell'autocritica e nel rinnovamento. Sì, più attenzione dovrebbe essere posta sulle pratiche spirituali, intese come "contenuto centrale" della fede tramandata. Tuttavia non si dovrebbe concludere che la spiritualità sia un sostituto della religione.
Una spiritualità disconnessa dalla religione priva del senso di comunità e della tradizione, non avvantaggiandosi di queste per il dialogo e la pratica, mancando inoltre di responsabilità. Tale spiritualità rapidamente diventa privatista e senza radici, un qualcosa all'opposto della comprensione cristiana della "vita nello Spirito".
Da una prospettiva cristiana, lo Spirito che soffia viene fatto risalire alle Lettere di Paolo, in cui usa il termine greco "pneuma" per segnalare una vita vissuta in allineamento con quella di Dio. La spiritualità cristiana presuppone, per grazia di Dio, un desiderio umano e capacità di crescere in unione con il Dio Uno e Trino. Comprende il carattere dinamico della vita umana vissuta in cosciente rapporto con Dio in Cristo attraverso lo Spirito, come sperimentato all'interno di una comunità di credenti. Per vivere la spiritualità, un cristiano deve porre attenzione a ciò che è di Dio, per approfondire una vita di conversione che ha il discepolato come suo obiettivo.
La spiritualità cristiana si esprime più autenticamente nel vivere le nostre promesse battesimali. Il cuore di queste promesse consiste nel rifiuto di tutto ciò che non è di Dio e nella decisione di vivere in accordo con le energie e le vie del Dio Uno e Trino. Un rinnovato impegno per mantenere le promesse del Battesimo è reso possibile dalla Grazia di Dio, su cui fare affidamento anche grazie alla comunità dei credenti, e supportata attraverso l'impegno in pratiche spirituali significative.
"La Messa è culto sacramentale, come si suol dire: il fisico è inteso come il nesso fra il visibile e l'invisibile, fra il tempo e l'eternità; proprio come avvenne sugli altari d'Israele e nella Carne del Figlio di Dio incarnato, nella Croce, nella Risurrezione e nell'Ascensione."
Riportiamo di seguito una parte di un saggio del Dott. Thomas Howard, morto all'età di 85 anni, che in origine fece parte di una conferenza tenuta al Gordon College nel giugno del 1995. Appare nella raccolta The Night Is Far Spent: A Treasury of Thomas Howard (Ignatius Press, 2007).
La mia ipotesi è che qui mi stia rivolgendo ad almeno tre gruppi di persone riunite insieme in assemblea. Il gruppo più numeroso di voi si collocherebbe in quell'ala del protestantesimo noto come evangelicalismo e sarà cresciuto in famiglie evangeliche. Un secondo gruppo ci dirà: "Sono stato cattolico fino all'età di quindici anni, poi ho incontrato Gesù", oppure "sono stato cattolico fino a diciassette anni, poi sono diventato cristiano". Un terzo gruppo di voi è cattolico romano, e mentre parliamo qualcuno potrebbe scoprire che qualche fratello di fede sembra molto lontano dall'essere soddisfatto del fatto che il suo cattolicesimo lo qualifichi come cristiano.
Vediamo se riesco a gettare luce su questo tema della spiritualità cattolica in modo che noi tutti possiamo cogliere le cose in una luce abbastanza chiara.
Come sapete, tutti noi facciamo quello che facciamo per ragioni che hanno radici nella nostra storia e cultura. Alcuni ebrei, per esempio, indossano grandi cappelli di pelliccia e lunghi cappotti neri e calze bianche. Devi indagare nella loro storia prima di decidere se abbiano un gusto antiquato. I calvinisti mettono il pulpito al centro dell'attenzione nelle loro chiese: hanno ragioni appassionate per adottare questa disposizione architettonica. Gli evangelici cantano un certo tipo di canzone gospel, o canzone di lode, che trova le sue radici nella cultura americana moderna. Parlo, ovviamente, di tradizione. Essere umani significa essere profondamente radicati nella tradizione. Siamo tutti d'accordo sul fatto che ci sono cattive tradizioni e buone tradizioni: incatenare gli schiavi è una cattiva tradizione, mentre togliersi il cappello in chiesa e alzarsi in piedi quando una donna entra in una stanza dovrebbero essere delle buone tradizioni. Dire che qualcosa è tradizionale lascia aperta la questione se debba essere cambiato. Se è frivolo, brutale o generato male, allora siamo tutti d'accordo che il cambiamento è indicato.
Non esiste, come sapete, il cristianesimo non tradizionale. Quello che facciamo quando ci incontriamo con altri credenti per l'adorazione, e la sequenza che seguiamo, e le stesse frasi e vocabolario che emergono, non sono emersi direttamente dalle pagine del Nuovo Testamento ieri. John Wesley, o il generale William Booth, o Menno Simons, o Giovanni Calvino o Martin Lutero, o JN Darby, o John Wimber, o DL Moody, o Roger Williams, o AJ Gordon, o Ignazio di Antiochia, o Clemente di Roma, o Giustino Martire, o Gregorio I, questi signori stanno fra voi e il mattino di Pentecoste a Gerusalemme duemila anni fa.
Anche se ti sforzi strenuamente per la spontaneità nella tua adorazione, ad esempio, trovi due cose: in primo luogo, c'è un'antica tradizione di sforzi per la spontaneità nell'adorazione - si chiama montanismo - e in secondo luogo scopri che la tua spontaneità si trasforma molto rapidamente in una mezza dozzina di frasi e gesti. Siamo tutti umani, in verità, e non possiamo sbarazzarci della tradizione più di quanto possiamo sbarazzarci di questi nostri corpi.
Mentre i nostri precursori nell'antica Fede si spostavano da quella abbagliante mattina pentecostale nel lungo cammino della storia, scopriamo che la pietra di paragone per la loro vita insieme, per la loro preghiera e per il loro culto, era l'apostolato. Il cristianesimo non era solo un aggregato disordinato di credenti indipendenti e gruppi sparsi per la Samaria e l'Asia Minore. Dovevi essere in comunione obbediente, visibile, organica con gli stessi Apostoli. Poi, con il passare dei decenni e la morte di Pietro e Giovanni e Giacomo e gli altri, ti sei trovato sotto l'autorità degli uomini sui quali avevano imposto le mani. Questi uomini erano sorveglianti, o pastori: vescovo è la parola che è entrata in gioco molto rapidamente. Se eri cristiano, dicevi: "Policarpo è il mio vescovo", oppure "Ignazio è il mio vescovo". Non c'era nulla di simile nella Chiesa a cui tu ed io dobbiamo la nostra fede, non esisteva un cristiano indipendente o individualista.
Naturalmente, i tipi zelanti spuntavano dalle erbacce ogni ora alla mezz'ora, per così dire, dicendo: "Ciao ragazzi, sto avviando una chiesa qui" o "Ho una parola dal Signore ”, o “Lo Spirito Santo mi ha rivelato così e così”. Questi uomini furono chiamati eresiarchi dai cristiani (c'erano anche alcune donne).
Le cose erano molto rigide, in realtà: se ne dubiti, guarda le Epistole di San Paolo o ascolta di nascosto il Concilio di Gerusalemme, che gli apostoli convocavano per decidere cosa dovevi fare su certe questioni di coscienza. I cristiani non sono rimasti a organizzare seminari e simposi per discutere di questioni: gli apostoli ti hanno detto cosa fare e in cosa credere. Questa notizia può renderti ombroso, ma tutti noi, battisti, OPC, copti, RC o Grace Chapel, dobbiamo essere d'accordo sul fatto che questo era il modo in cui gli apostoli facevano le cose, nel bene o nel male. Se tentiamo uno schema diverso, lo facciamo sotto lo sguardo titanico di quella grande nuvola di testimoni che, dice il Libro degli Ebrei, ci osservano mentre inciampiamo nel nostro frammento di storia.
Essere un credente in quei primi giorni significava guardare a te stesso, non tanto come un privato che aveva accettato il Signore Gesù Cristo come tuo personale Salvatore, ma piuttosto come uno che si era unito a questa entità chiamata Chiesa. Se, per esempio, tu fossi un negoziante cristiano ad Antiochia, e io, il tuo vicino pagano, dopo aver osservato te e i tuoi compagni di fede per un paio d'anni, venissi da te e dicessi: "Ehm, penso che mi piacerebbe diventare un Cristiano”, non mi diresti: “Oh! Grande! Ecco Giovanni 3:16. Possiamo semplicemente chinare la testa qui, e tu puoi ripetere questa preghiera dopo di me, e poi sarai un cristiano." No. Mi diresti: "Ah. Vuoi essere cristiano, vero? Bene, ti presenterò il nostro vescovo, Ignazio, e ti consegnerà ad alcuni cristiani per l'istruzione per circa un anno, e ti sarà permesso di partecipare alla nostra adorazione (ma dovrai andartene quando arriviamo alla Cena del Signore ogni settimana), e poi, l'anno prossimo il vescovo ti battezzerà e diventerai cristiano."
Se questo suona peculiare a noi credenti americani moderni, il nostro atteggiamento è indice di quanto ci siamo allontanati dalle discipline e dalle tradizioni degli stessi uomini a cui dobbiamo la nostra fede. E, per inciso, quell'antico schema potrebbe essere ciò che sta alla base della confusione che gli evangelici a volte incontrano quando chiedono a qualche cattolico romano se è "salvato" o "nato di nuovo". La maggior parte dei cattolici borbotterà, brontolerà e abbaierà, e forse gracchierà: "No, sono cattolico". Così facendo, brancola un'identità che risale ai tempi apostolici. Quella parola cattolica è entrata in gioco pochi decenni dopo la Pentecoste. Essere cattolico doveva essere identificato con Pietro e Giovanni e Paolo, e con Ignazio e Clemente e Policarpo, e con quella strana folla nell'impero romano che adorava Dio e il Suo Servo Gesù (così lo esprimevano spesso). Era un'identità profondamente aziendale. L'individualismo non aveva preso il controllo in quei secoli e, cosa abbastanza interessante, fu in quel momento che quella che vediamo oggi come pietà cattolica romana iniziò a formarsi. Il che fa emergere un punto: i credenti cristiani seri parlano spesso di “tornare al Libro degli Atti”, o di prendere spunti dal solo Nuovo Testamento, come se stessero dicendo qualcosa di tagliente. Quello che manca, ovviamente, è che la Chiesa nascente non ha preso spunti dal Nuovo Testamento (non c'era ancora) e, in secondo luogo, che in questo Nuovo Testamento non si può trovare un progetto per il culto cristiano (Atti 2:42 elenca quattro ingredienti dei loro incontri insieme, ma non ci dice come avessero organizzato le cose). E in terzo luogo, naturalmente, insistere in modo troppo stridulo su una rigorosa adesione alla lettera di Atti 2:42 significa suggerire che il seme piantato dallo Spirito Santo era un seme povero e non crebbe mai. Un cattolico romano vede la crescita della Chiesa e del suo culto non come una questione di impertinenti Papi medievali, che registrano accrescimenti sul culto della Chiesa fino a quando alla fine non si ottiene una stravaganza chiamata Messa solenne, ma piuttosto come il germogliare organico, la fioritura e la fruttificazione di un albero da un seme sano: un albero grande abbastanza perché tutti gli uccelli del cielo vi si appollaino per ascoltare l'annuncio evangelico. Così, quando farai notare a un cattolico che la sua adorazione, la Messa, non assomiglia affatto a quelle riunioni accalcate nel Cenacolo e così via, penserà all'abitudine che hanno le ghiande di diventare enormi querce, che ovviamente non sembrano affatto ghiande.
Questo ci porta a un altro punto su cui potrei essere in grado di aiutare in questa sede. Su questo tema della Messa, o della Liturgia, come la Chiesa apostolica chiamava il suo culto, sbagliamo in qualcosa che potrebbe sorprendervi. Quando si passa ai primissimi documenti della Chiesa, si scopre che il culto collettivo aveva assunto una forma molto specifica. Si incontravano, non principalmente per un sermone, né principalmente per fraternità, né principalmente per insegnare, né per cantare, né per nient'altro che l'Eucarestia. La Tavola del Signore, in altre parole. Questo, fin dall'inizio, era ciò che intendevano per adorazione. Sarebbero rimasti perplessi nel trovare cristiani duemila anni dopo che si riunivano per il culto collettivo nel giorno del Signore senza celebrare l'Eucarestia.
E non solo: il loro culto non ha preso nessuna forma antica. Non sapevano niente di spontaneità. Come il Signore Gesù, che era cresciuto nella sinagoga, e come tutto il popolo di Dio fin da Mosè e prima, avrebbero saputo che, quando vi riunite in modo regolare, ricorrente e a lungo termine per offrire il sacrificio di adorazione al Trono di Zaffiro, hai bisogno di un modulo. Perché la forma ti libera dalla pozzanghera superficiale delle tue risorse ad hoc del momento e ti attira nella dignità, nobiltà e splendore che accompagnano il culto angelico dell'Altissimo, e per i quali tu ed io bramiamo con insondabile brama. Perché noi mortali siamo, naturalmente, creature cerimoniali. Evviva la spontaneità al suo posto, ma quando arriviamo ai grandi, centrali, profondi misteri che stanno alla base della nostra vita mortale: nascita, matrimonio, adorazione, e la morte, allora cerchiamo una forma. Una cerimonia. Ogni tribù, cultura, società e civiltà lo ha saputo. Perché cerimonializziamo ciò che conta di più per noi? Perché voi spose vi vestite in quel modo e camminate così lentamente lungo il corridoio? Perché guidano il carro funebre così lentamente? Perché metti quelle candeline su quella torta di compleanno? Oh, certo, l'ostetricia e la ginecologia sono da lodare per il loro aiuto nel far nascere i nostri bambini, ma quando arriviamo a cosa significa - che una nuova persona è apparsa sulla scena - ah, allora, dobbiamo andare più a fondo di quanto l'ostetricia possa portarci, e l'unico modo per farlo è attraverso la cerimonia. Tutti gli ebrei e tutti i cristiani ortodossi, cattolici romani e anglicani contano su questo; e tutti i musulmani e gli indù, e in effetti persone di ogni tribù e cultura, lo testimonieranno. Quindi, se mettete alla prova un amico cattolico romano sul motivo per cui i cattolici si attengono a una forma rigida per il culto, non capirà bene cosa gli state chiedendo. Sicuramente, vorrebbe sapere, non credete seriamente che la spontaneità sia ciò che vogliamo quando veniamo, come santo popolo di Dio, settimana dopo settimana, secolo dopo secolo, ad offrire il sacrificio di adorazione al Trono di Zaffiro?
Può anche essere utile spiegare che non solo la struttura della Messa stessa – la prima parte, chiamata Sinassi, che contiene tutte le letture scritturali, e il sermone e il credo e le preghiere, e la seconda parte, chiamata l'Anafora, con il Grande Ringraziamento e la stessa Comunione, che non solo questa struttura, ma anche le stesse parole risalgono al primo e al secondo secolo. È una cosa tremendamente commovente, credetemi, leggere i testi di ciò che dicevano e facevano quei primi cristiani quando si radunavano, e poi ascoltare quelle stesse parole nella liturgia nella vostra parrocchia locale da domenica a domenica. Si dispiega una continuità gloriosa e ininterrotta: voi sapete che siete legati agli apostoli, ai Padri, ai martiri, ai vescovi e ai confessori,e tutta la compagnia dei fedeli dalla Pentecoste ai nostri giorni. Un cattolico romano ha difficoltà a capire perché i cristiani vorrebbero mettere da parte questa antica liturgia a favore di un progetto moderno. Ma la mia ipotesi è che a questo punto alcuni di voi potrebbero mormorare: "Beh, va tutto molto bene, la nobile antichità di cui parli. Ma la 'gente comune' è veramente toccata da questo?" Una domanda legittima, touché. E la risposta, ovviamente, è no, non più del fatto che un ebreo medio vedesse la Gloria di Dio ogni volta che i leviti suonavano le trombe, né il tuo avvocato presbiteriano medio o amministratore delegato episcopale o studente universitario del Gordon College, veda quella Gloria quando l'organo, o le chitarre, intonano l'inno di apertura. Noi mortali non andiamo molto bene con questo lavoro di adorazione. Dov'era la tua mente durante il canto dell'inno di pochi minuti fa? Ahimè. Ma tutti noi, battisti, pentecostali o cattolici, vorremmo raggiungere la massima di Sant'Agostino "abusus non tollit usus", se qualche nostro amico non religioso ha suggerito che dovremmo abbandonare le nostre pratiche di adorazione poiché la maggior parte delle volte le nostre menti vagano altrove. "L'abuso di una cosa non toglie il suo uso corretto." Non gettiamo la spugna sulla cappella di Gordon perché le menti delle persone vagano o leggono una rivista in grembo. Continuiamo a combattere, tenendo aperta, per così dire, la porta del tabernacolo, affinché le anime buone e sante vengano ad offrire le loro offerte, e affinché altri di noi, trovandosi in questi recinti, possano forse essere destati ai nostri doveri verso la Divina Maestà.
Consentitemi di toccare un altro punto sul culto e la pietà cattolica romana che, credo, costituisca uno scandalo per i cristiani protestanti. È questo affare del fisico. I cattolici si inginocchiano, si inchinano e si fanno il segno della croce. Alcuni addirittura si battono il petto durante l'Agnus Dei ("Agnello di Dio"). E c'è spesso incenso. Il celebrante indossa abiti elaborati. Ci sono candele, acqua santa, pane e vino. Non è affatto lo schema delle cose di Ginevra o Zurigo o Edimburgo. Non è tutto, davvero, pagano?
Ebbene sì, se vuoi dire che i pagani usano l'incenso e si inchinano e accendono candele. Ma nel momento in cui diciamo che sappiamo di essere nei guai, poiché anche i pagani si radunano per adorare, pregare e ascoltare l'insegnamento, proprio come facciamo noi cristiani. E i pagani si inginocchiano, come molti di voi fanno al proprio capezzale. Chiaramente non possiamo adottare la regola che dice: Se lo fanno i pagani, noi cristiani non dobbiamo. Il punto è che noi uomini ci inchiniamo, ci inginocchiamo, ci raccogliamo e alziamo le mani sante. Il problema arriva quando chiedi quale divinità viene invocata. Se è Baal o Osiride, allora hai il paganesimo. Se è il Dio e Padre di nostro Signore Gesù Cristo, allora hai il culto cristiano.
Ma ancora, il Nuovo Testamento non ha posto fine a tutte le cerimonie? L'adorazione non è una questione strettamente dell'uomo interiore adesso? Ebbene sì, se vuoi dire che il Padre cerca coloro che lo adorerano in spirito e verità. Ma, ovviamente, questa non è un'innovazione del Nuovo Testamento: i Profeti tormentavano sempre Israele per la stessa cosa. E John Knox, Jonathan Edwards e Kierkegaard assillarono i protestanti sui loro rituali di adorazione farseschi e vuoti. I cattolici non hanno alcun angolo su questa difficoltà. Così, ammesso che è sempre difficile per noi mortali riunire e mantenere insieme la forma esteriore e la realtà interiore, ammettendo questa grave difficoltà, non dovremmo ridurre le cose al minimo in modo da diminuire il pericolo? Forse è così. D'altra parte, ovviamente, tu ed io non siamo gnostici. Non siamo manichei. Quelle erano le persone che volevano che la religione fosse una questione del nostro volo in un etere vacuo e disincarnato, gettando a mare questi nostri imbarazzanti corpi in carne e ossa, con tutti gli starnuti e i sibili che portano con sé. Tutti quei bostoniani del diciannovesimo secolo come Ralph Waldo Emerson e Bronson Alcott e William Ellery Channing erano quasi manichei. Volevano che il cristianesimo fosse fumigato e cerebrale. Siediti nella tua chiesa del New England su un banco di legno e pensa a Dio. Ma per favore, niente odori e campane. Per favore. Tu ed io risponderemmo a Emerson e compagnia sottolineando che il cristianesimo, lungi dall'essere la religione semplicemente del Libro, come l'Islam, è profondamente carnale. Ma dopo gli altari e gli agnelli e le giovenche e il grasso bruciato dell'Antico Testamento, si arriva allo spirituale: giusto? Sbagliato. C'è un concepimento, di un bambino nel grembo di una giovane ragazza. C'è il parto e la circoncisione. C'è acqua per il vino a un matrimonio. Ed ecco la tua e la mia salvezza, operata non da editti tramandati dal cielo, ma da spine e schegge e chiodi e tagli. Ma poi diventiamo spirituali, giusto? Sbagliato di nuovo. Un corpo, fuori dal sepolcro. E peggio ancora – quel corpo – la nostra carne umana, assunta all'Ascensione nei più intimi misteri della Santissima Trinità. Quando è stata l'ultima volta che hai sentito un sermone sulle implicazioni dell'Ascensione? E poi, ovviamente, non solo un Libro, ma Pane e Vino, dati a noi, giorno per giorno, finché dura la storia. Una religione molto fisica è quella a cui apparteniamo.
Questo è ciò che si dice nella Messa romana. La Messa è culto sacramentale, come si suol dire: cioè il fisico è inteso come il nesso fra il visibile e l'invisibile; fra il tempo e l'eternità; proprio come avvenne sugli altari d'Israele, e nella carne del Figlio di Dio incarnato, e sulla Croce, e nella Resurrezione e nell'Ascensione. E tu ed io siamo più che anime, o intelletti. Gesù Cristo ha salvato l'uomo intero, rotule, timpani, narici e tutto: perciò i cristiani si inginocchiano per pregare, suonano le chitarre nel loro culto e portano incenso. È un bene per il mio cuore che le mie ginocchia tocchino il pavimento. È un bene per la mia anima che i muscoli del collo si pieghino un po' quando dico grazie a pranzo. Queste cose fisiche appartengono alla personalità senza soluzione di continuità che sono io. Emerson ha sbagliato tutto.
Potrei concludere qui menzionando un elemento che è appiccicoso come uno qualsiasi degli elementi dell'elenco di domande che i buoni evangelici hanno sulla pietà cattolica romana. Intendo il Rosario. Se qualcosa sulla terra assomigliasse alla vana ripetizione contro cui la Bibbia ci mette in guardia, sarebbe certamente il Rosario. Comporta ripetizioni apparentemente infinite dell'Ave Maria. Non può essere "preghiera", vero? Fammi vedere se posso aiutarti a vedere almeno il motivo per cui i cattolici apprezzano il Rosario. Primo, sappiamo tutti quanto sia terribilmente difficile fissare la nostra mente nella meditazione cristiana. Se ci hai provato tu stesso, sai che il tuo peggior nemico sono i pensieri erranti. Sai anche che esaurisci molto rapidamente le cose da dire quando stai meditando su uno dei misteri del Vangelo (e sicuramente se uno è un cristiano serio avrà come parte dei suoi esercizi quotidiani proprio questo meditare e meditare). Il Rosario ci fornisce un modo per soffermarci (questa è la parola chiave, appunto) in modo sistematico e progressivo, alla presenza di tutti i grandi eventi della nostra salvezza, in compagnia di colei che è stata la più ricettiva al Signore, cioè la Vergine Maria, che disse, ricorderete: «Ecco la serva del Signore: avvenga di me secondo la Tua parola». Ahimè, questo è ciò che tu ed io, in nostro padre Adamo e nostra madre Eva, non abbiamo detto in Eden; ed è un modo per riassumere tutto questo processo di crescita della vita cristiana che abbiamo intrapreso. Se solo potessi imparare, sempre di più, a dire, dal mio cuore: "Mi avvenga secondo la Tua parola". Il Rosario ci presenta quindici eventi evangelici: l'Annunciazione, la Visitazione, la Natività, la Crocifissione, la Resurrezione e così via, dandoci una sorta di ritornello su cui mormorare mentre ci poniamo in conspectu Dei ad ogni scena. Questo è simile al modo con cui i carismatici mormorano “Gesù! Gesù!" o il modo con cui noi evangelici ripetiamo “Alleluia!” o “Incoronalo! incoronalo!” in un inno. Ci viene dato un ritornello tranquillo da tenere sulla lingua mentre indugiamo, ci aiuta a rimanere sul posto. Le parole sono come cuscinetti a sfera, per così dire. Aiutano le nostre povere facoltà sparse a rimanere in linea. E, naturalmente, l'“Ave Maria” è biblica: stiamo semplicemente ripetendo il saluto di Gabriele a questa donna, siamo una delle tante generazioni che la vogliono chiamare beata, come lei stessa ha cantato nel Magnificat. Perché, naturalmente, è stata lei quella di noi che è stata coinvolta più intimamente in tutto il dramma della redenzione: i patriarchi e i Profeti, i re e gli Apostoli hanno tutti testimoniato la Parola: Maria ha portato la Parola. Lei è il compimento di Genesi 3:15. Nella misura in cui uniamo sempre più le nostre aspirazioni alle sue, ci avviciniamo sempre più all'intima unione con il Signore. “Ecco la serva del Signore”: se solo potessi imparare a dirlo, in mille situazioni durante tutto il giorno in cui l'irritazione, o il risentimento, o la lussuria, o l'impazienza mi sorgono. “Mi sia fatto secondo la Tua parola”. È uno stato d'animo meraviglioso a cui dovrebbe aspirare un cristiano. Il Rosario, giorno per giorno, ci presenta quegli eventi sui quali la nostra anima dovrebbe abitualmente dimorare e ci aiuta a soffermarci in quei canti evangelici.giorno per giorno, ci presenta quegli eventi in cui le nostre anime dovrebbero abitualmente dimorare e ci aiuta a soffermarci in quei recinti evangelici giorno per giorno, ci presenta quegli eventi in cui le nostre anime dovrebbero abitualmente dimorare e ci aiuta a soffermarci in quei recinti evangelici.
Il mio tempo è scaduto. Ho appena toccato questo argomento della Vergine Maria e non ho detto nulla del Papa, o delle preghiere ai Santi, e del Purgatorio, e di tante altre cose che sembrano un oltraggio all'ardente fantasia evangelica. Come forma di abbreviazione, posso semplicemente dire che ognuna di queste nozioni e pratiche è profondamente centrata su Gesù Cristo che, dice la Chiesa cattolica romana, facendo eco a San Paolo, è “l'unico mediatore fra Dio e l'uomo”.
Dieci principi della vita spirituale
1) “Spiritualità” o essere “spirituali” non significa niente di più, ma anche niente di meno, che essere animati e guidati dallo Spirito del Signore Gesù che si riceve nel Battesimo. Questo è ciò che intende San Paolo con “vivere secondo lo Spirito” o essere “spirituali”. Non significa necessariamente un'esperienza intensa e straordinaria o un'interiorità sensibilissima.
2) Forse il modo più utile per comprendere la vita spirituale è vedere il nostro obiettivo nel rinnovamento per Grazia (in particolare per opera dello Spirito Santo, spesso chiamata Grazia “increata”) dell'immagine di Dio dentro di noi, ferita dal peccato originale e da quelli attuali. La Grazia purifica il nostro intelletto nel conoscere la verità e rettifica la nostra volontà nell'amare il bene.
3) Essenziali per la salute spirituale – mantenere in noi la salute e il vigore della vita dello Spirito Santo – sono la preghiera, il silenzio e il nutrimento attraverso la lettura. Tutti questi richiedono dedizione, disciplina e lo sviluppo dell'abitudine.
4) La preghiera, secondo Clemente Alessandrino (212 d.C.) è “conversazione con Dio” o, secondo san Giovanni Damasceno (749 d.C.), “l'elevazione del cuore e della mente a Dio” o, secondo Santa Teresa d'Avila (1582 d.C.), «nient'altro che un'intima condivisione fra amici... prendersi del tempo per stare da soli con Colui che ci ama». Ogni preghiera inizia con l'iniziativa di Dio: non è mai semplicemente il prodotto dei nostri sforzi, sebbene una preghiera fruttuosa richieda il nostro sforzo.
5) Esistono tre espressioni, o tipi di preghiera: vocale o verbale, meditativa e contemplativa. La preghiera verbale usa le parole (come preghiere formali, preghiere con parole proprie, la “preghiera di Gesù”); la meditazione impegna l'immaginazione mentre si medita e considera i misteri della fede o le parole della Sacra Scrittura (ad eseempio come avviene con il Rosario o la lectio divina); la preghiera contemplativa è la preghiera di unione, spesso senza parole, realizzata nel silenzio ed è il dono di Dio all'anima, che implica un'intensa consapevolezza della presenza di Dio nell'anima.
6) Il silenzio è un prerequisito essenziale della preghiera e della vita spirituale. È imperativo coltivare tempi di silenzio nella nostra vita quotidiana. Il silenzio ci aiuta a crescere nella consapevolezza di sé, che è essenziale per una crescita genuina poiché l'orgoglio è l'assenza di una prospettiva di sé indotta dall'assorbimento di sé. Man mano che cresciamo nell'autocoscienza, accadono due cose: riconosciamo la nostra vera povertà e arriviamo a vedere la nostra vera identità in Cristo.
7) È essenziale anche il nutrimento attraverso una solida lettura spirituale. Il posto d'onore spetta al testo ispirato delle Sacre Scritture. La Scrittura deve essere letta cristologicamente: Cristo è la chiave per svelare il significato della Scrittura nel suo insieme, compreso l'Antico Testamento. Egli è la Parola mediata dalle parole. Egli è la lente attraverso la quale tutte le Scritture devono essere lette. Se hai intenzione di leggere le Scritture, inizia sempre con i Vangeli, che creano la "lente" per il resto della Bibbia. Piccoli frammenti della Scrittura ogni giorno su cui possiamo rimuginare o meditare sono la base. Utile anche leggere le Scritture insieme a tutta la Chiesa: seguendo il ciclo del Lezionario, possiamo seguire le letture della Messa quotidiana e farne un vero alimento.
8) Un'altra fonte di nutrimento è la Liturgia delle Ore, la preghiera ufficiale della Chiesa universale. Composta da salmi, cantici e brani delle Scritture, è destinata a diventare il cardine o perno, e fondamento della nostra vita quotidiana di preghiera. Il ciclo della preghiera del mattino, o "Lodi" e della preghiera della sera, o "Vespri", può strutturare e plasmare la nostra esistenza quotidiana. Anche le vite e gli scritti dei santi sono un'altra eccellente fonte di nutrimento spirituale. Più ci vediamo come parte di una Tradizione vivente di pratica spirituale, più possiamo appropriarci del meglio di essa per noi stessi.
9) Tutte queste pratiche si basano sull'autodisciplina: la capacità di spegnere la TV, il computer, il cellulare e l'iPod e dedicare del tempo ogni giorno a Dio. Il segreto è iniziare in piccolo e farlo crescere. Tutte queste pratiche devono essere in accordo con il proprio stato di vita. Non ci si può aspettare che una madre di un bambino di sette anni viva come una trappista; bisogna scoprire cosa funziona per se stessi, sulla base della formula delineata sopra. Come ogni altra cosa nella vita, l'equilibrio è importante.
10) Queste pratiche saranno utili solo se ci si sforza di vivere pienamente la vita sacramentale della Chiesa, in particolare attraverso la celebrazione fedele e regolare dell'Eucarestia, che la Chiesa insegna essere la cosa più efficace che possiamo fare, e la celebrazione regolare del sacramento della riconciliazione.
In fondo, si tratta di abitudine: non semplicemente come comportamento ripetitivo, ma come disposizione ferma e affidabile della volontà; inculcare le buone abitudini e sradicare le cattive abitudini, assistiti tutto il tempo dalla Grazia. Ecco perché la regolarità è più importante del volume. È qualcosa di più della semplice forza di volontà o dell'autodisciplina: se così fosse sarebbe insufficiente, perché significherebbe che ci affidiamo principalmente ai nostri sforzi e non alla Grazia di Dio.
Inizia in piccolo. Abbi fede. Lascia che Dio faccia il resto.
Spirituale e religioso: i vantaggi di essere entrambi
Molte persone oggi si definiscono "spirituali ma non religiose", ma è davvero così facile, o salutare, separare spiritualità e religione l'una dall'altra? James Martin SJ pensa di no e, in un estratto dal suo libro popolare, "La guida dei gesuiti a (quasi) tutto", spiega perché la religione non dovrebbe essere liquidata così facilmente.
Tutti sembrano essere spirituali in questi giorni, dal tuo compagno di stanza del college, alla persona nel cubicolo dell'ufficio accanto al tuo, all'argomento d'intervista di qualche celebrità. Ma se "spirituale" è di moda, "religioso" è altrettanto fuori moda. Questo di solito è espresso come segue: "Sono spirituale ma semplicemente non religioso".
Ci sono così tante persone che si descrivono in questo modo che a volte mi chiedo se i Gesuiti potrebbero attirare più persone se dessero gli Esercizi Spirituali ma non Religiosi .
Il pensiero che spinge a quest'atteggiamento è questo: essere "religiosi" significa attenersi a regole arcane e a dogmi nascosti, ed essere lo strumento di un'istituzione oppressiva che non ti permette di pensare da solo. (Il che avrebbe sorpreso molti credenti pensanti, come San Tommaso d'Aquino, Mosè Maimonide, Dorothy Day e Reinhold Niebuhr.) La religione è ottusa e pregiudizievole – così va il pensiero – soffocando la crescita dello spirito umano. (Il che avrebbe sorpreso San Francesco d'Assisi, Abraham Joshua Heschel, Santa Teresa d'Avila, Rumi e il Reverendo Dott. Martin Luther King Jr.) In maniera peggiore, secondo alcuni autori contemporanei, la religione è il più spregevole dei mali sociali, responsabile di tutte le guerre e dei conflitti nel mondo. Purtroppo, la religione è responsabile di alcuni mali nel mondo moderno e di altri mali nel corso della storia: fra questi la persecuzione degli ebrei, le guerre infinite di religione, l'Inquisizione, per non parlare dell'intolleranza religiosa e del fanatismo che porta al terrorismo. Puoi aggiungere a questo elenco cose più piccole: il tuo vicino critico che ti dice ad alta voce quanto spesso aiuta in chiesa, il tuo parente più santo di te che strombazza quanto spesso legge la Bibbia o quel ragazzo fastidioso al lavoro che continua a dirti che la fede in Gesù ti porterà sicuramente un incredibile successo finanziario. C'è un lato umano e peccaminoso nella religione poiché le religioni sono organizzazioni umane e quindi inclini al peccato e, francamente, le persone all'interno delle organizzazioni religiose lo sanno meglio di quelle al di fuori di esse.
Alcuni dicono che a conti fatti la religione si trova carente. Tuttavia, vorrei accumulare contro gli aspetti negativi alcuni aspetti positivi: tradizioni di amore, perdono e carità, nonché le conseguenze più tangibili di migliaia di organizzazioni religiose che si prendono cura dei poveri, come le associazioni di beneficenza cattoliche o la vasta rete di ospedali cattolici e scuole che si prendono cura delle popolazioni povere e immigrate. Pensa anche a uomini e donne generosi come San Francesco d'Assisi, Santa Teresa d'Avila, Santa Caterina da Siena, Dorothy Day, Santa Madre Teresa di Calcutta e ancora il Reverendo Dott. Martin Luther King Jr. Parlando del Dottor King, potresti aggiungere suffragio femminile e movimenti per i diritti civili, tutti fondati su principi esplicitamente religiosi. Aggiungi a questa lista i miliardi di credenti che hanno trovato nelle proprie tradizioni religiose non solo conforto ma anche una voce morale che li esorta a vivere vite altruistiche e a sfidare lo status quo.
E Gesù di Nazareth. Ricordi? Sebbene sfidasse spesso le convenzioni religiose del suo tempo, era un uomo profondamente religioso, per dirla con un eufemismo.
A proposito, neanche l'ateismo è perfetto. Nel suo libro No One Sees God: The Dark Night of Atheists and Believers, Michael Novak sottolinea che mentre molti pensatori atei ci esortano a mettere in discussione tutto, specialmente la religione organizzata, gli atei spesso non riescono a mettere in discussione se stessi. Si pensi alla crudeltà e allo spargimento di sangue perpetrato, proprio nel XX secolo, da regimi totalitari che hanno professato l'ateismo scientifico. Mi viene in mente la Russia stalinista.
A conti fatti, penso che la religione sia al primo posto. E quando penso agli esempi degli effetti malefici della religione, ricordo la scrittrice inglese Evelyn Waugh, una scrittrice abbagliante che per molti versi era una persona cattiva. Uno degli amici di Waugh una volta espresse stupore per il fatto che potesse essere così meschina e cristiana. Pensa, disse Waugh, quanto sarei peggiore se non fossi cristiana.
Tuttavia, non sorprende che, dati tutti i problemi con la religione organizzata, molte persone direbbero: "Non sono religioso". Dicono: "Sono seriamente intenzionato a vivere una vita morale, forse anche incentrata su Dio, ma sono la mia persona".
"Spirituale", d'altra parte, implica che, libero da dogmi inutili, puoi essere te stesso davanti a Dio. Il termine può anche implicare che hai provato una varietà di credenze religiose che hai integrato nella tua vita. Mediti in un tempio buddista (che è fantastico); partecipi con amici ebrei alla Pasqua (ottimo anche); canti in un coro gospel in una chiesa battista locale (di nuovo grande); e vai alla Messa di mezzanotte della vigilia di Natale in una chiesa cattolica (anche questa fantastica). Trovi ciò che funziona per te, ma non frequenti veramente alcuna chiesa: sarebbe troppo limitante. Inoltre, non c'è nessun credo che rappresenti esattamente ciò in cui credi. Ma c'è un problema. Mentre "spirituale" è ovviamente salutare, "non religioso" può essere un altro modo per dire che la fede è qualcosa fra te e Dio. E mentre la fede è una questione fra te e Dio, non è solo questo. Perché significherebbe che ti stai relazionando solo con Dio. E questo significa che non c'è nessuno che possa aiutarti quando potresti essere fuori strada.
Tendiamo tutti a pensare di avere ragione sulla maggior parte delle cose e la spiritualità non fa eccezione. Non appartenere a una comunità religiosa significa meno possibilità di essere sfidati da una tradizione di credenza ed esperienza, meno possibilità di vedere quando si è fuorviati, vedendo solo una parte del quadro, o addirittura sbagliando.
Consideriamo una persona che vuole seguire Gesù Cristo da sola. Forse ha sentito dire che se seguirà Cristo godrà di un successo finanziario, un'idea popolare oggi. Se facesse parte di una comunità cristiana tradizionale, tuttavia, le verrebbe ricordato che la sofferenza fa parte della vita anche del cristiano più devoto. Senza la saggezza di una comunità, potrebbe gravitare verso una visione distorta del cristianesimo. Una volta che cade in tempi difficili finanziariamente, può abbandonare Dio, che ha smesso di soddisfare i suoi bisogni personali.
Nonostante i nostri migliori sforzi per essere spirituali, commettiamo errori. E quando lo facciamo, è utile avere la saggezza di una tradizione religiosa.
Questo mi ricorda un passaggio di un libro intitolato Habits of the Heart, scritto da Robert Bellah, un sociologo della religione, e altri colleghi, in cui hanno intervistato una donna di nome Sheila, sulle sue convinzioni religiose. "Credo in Dio", disse. "Non sono una fanatica religiosa. Non riesco a ricordare l'ultima volta che sono andata in chiesa. La mia fede mi ha portato lontano. È Sheilaismo. Solo la mia vocina."
Ancora più problematiche dello sheilaismo sono le spiritualità interamente incentrate sul sé, senza spazio per l'umiltà, l'autocritica o alcun senso di responsabilità per la comunità. Certi movimenti "New Age" trovano la loro meta non in Dio, e nemmeno nel bene superiore, ma nell'auto-miglioramento – una meta preziosa – ma che può degenerare nell'egoismo.
La religione può fornire un freno alla mia tendenza a pensare che io sono il centro dell'universo, che ho tutte le risposte, che conosco Dio meglio di chiunque altro e che Dio parla più chiaramente attraverso di me.
Allo stesso modo, le istituzioni religiose hanno bisogno di essere chiamate a rendere conto. E qui i profeti fra noi, che sono in grado di vedere i fallimenti, le debolezze e la semplice vecchia peccaminosità della religione istituzionale, giocano un ruolo fondamentale. Come gli individui che non vengono mai sfidati, le comunità religiose possono spesso sbagliare tragicamente le cose, convinte di fare la "volontà di Dio". (Pensa ai processi alle streghe di Salem, fra gli altri esempi.) Potrebbero persino incoraggiarci a diventare compiacenti nei nostri giudizi. La religione non riflessiva a volte può incitare le persone a compiere errori peggiori di quelli che farebbero da sole. Pertanto, quelle voci profetiche che invitano le loro comunità a una continua autocritica sono sempre difficili da ascoltare per l'istituzione, ma nondimeno necessarie. A suo modo, Ignazio esercitò un ruolo profetico chiedendo ai Gesuiti di non cercare nella chiesa alte cariche clericali – come quella di vescovo, arcivescovo o cardinale. In effetti, i gesuiti fanno una promessa di non "ambizione" per alte cariche anche all'interno del loro stesso ordine. In questo modo, Ignazio non solo cercò di prevenire il carrierismo fra i Gesuiti, ma disse anche una parola di profezia alla cultura clericale della chiesa del suo tempo.
È una sana tensione: la saggezza delle nostre tradizioni religiose ci fornisce un correttivo alla nostra propensione a pensare di avere tutte le risposte; e gli individui profetici possono moderare la naturale propensione delle istituzioni a resistere al cambiamento e alla crescita. Come per molti aspetti della vita spirituale, è necessario trovare l'equilibrio nella tensione.
La religione ci fornisce qualcos'altro di cui abbiamo bisogno: storie di altri credenti, che ci aiutano a capire Dio meglio di quanto potremmo fare da soli.
Isaac Hecker era un convertito al cattolicesimo del 19° secolo che divenne sacerdote e fondò l'ordine religioso americano noto come i Paulisti. La religione, ha detto Hecker, ti aiuta a "connetterti e correggere". Siete invitati in una comunità per connettervi gli uni con gli altri e con una tradizione. Allo stesso tempo, vieni corretto quando devi esserlo. E potresti essere chiamato a correggere la tua stessa comunità, anche se in questi casi è richiesto un tipo speciale di discernimento e di umiltà.
La religione può portare le persone a fare cose terribili. Nella migliore delle ipotesi, però, la religione modifica la nostra naturale tendenza a credere di avere tutte le risposte. Quindi, nonostante quello che dicono molti detrattori, e nonostante l'arroganza che a volte infetta i gruppi religiosi, la religione nella sua forma migliore introduce l'umiltà nella tua vita.
La religione riflette anche la dimensione sociale della natura umana. Gli esseri umani desiderano naturalmente stare gli uni con gli altri e questo desiderio si estende all'adorazione. È naturale voler adorare insieme, riunirsi con altre persone che condividono il tuo desiderio per Dio e lavorare con gli altri per realizzare i sogni della tua comunità.
L'esperienza di Dio passa anche attraverso le interazioni personali all'interno della comunità. Certo, Dio comunica attraverso momenti privati, intimi – come nella preghiera o nella lettura di testi sacri – ma a volte Dio entra in relazione con noi attraverso gli altri in una comunità di fede. Trovare Dio accade spesso nel mezzo di una comunità – con un "noi" tanto spesso quanto un "io". Per molte persone questa è una chiesa, una sinagoga o una moschea. O, più in generale, la religione.
Infine, religione significa che la tua comprensione di Dio e della vita spirituale possono trascendere più facilmente la tua comprensione e immaginazione individuali. Ti immagini Dio come un giudice severo? Va bene, se ti aiuta ad avvicinarti a Dio o a diventare una persona più morale. Ma una tradizione religiosa può arricchire la tua vita spirituale in modi che potresti non essere in grado di scoprire da solo. Ecco un esempio: una delle mie immagini preferite di Dio è il "Dio delle sorprese", che ho incontrato per la prima volta durante il noviziato. La mia idea di Dio all'epoca era limitata a Dio il Lontano, quindi è stato liberatorio sentire parlare di un Dio che sorprende, che ci aspetta con cose meravigliose. È un'immagine di Dio giocosa, persino divertente. Ma non l'avrei mai inventato da solo. Mi è venuta da David, il mio direttore spirituale, che l'aveva letta in un libro con lo stesso titolo, di un Gesuita inglese di nome Gerard W. Hughes, che l'aveva preso in prestito da un saggio del Gesuita tedesco Karl Rahner. Quell'immagine fu amplificata quando lessi la conclusione di uno dei grandi romanzi spirituali moderni, Mariette in Estasi. Ron Hansen, uno scrittore pluripremiato che è anche un diacono cattolico, ha scritto la storia delle esperienze religiose di una giovane suora all'inizio del 1900, liberamente ispirata alla vita di Santa Teresa di Lisieux, la carmelitana francese. Alla fine della storia, Mariette, che ha lasciato il monastero molti anni prima, scrive alla sua ex maestra delle novizie, assicurandole che Dio comunica ancora con lei.
Cerchiamo di essere formati, trattenuti e mantenuti da Lui, che ci offre anche la libertà. E ora quando cerco di conoscere la Sua Volontà, la sua gentilezza mi inonda, il suo grande Amore mi travolge e lo sento sussurrare: Sorprendimi. La mia immagine del Dio che sorprende e del Dio che attende sorprese è venuta da tre Sacerdoti Gesuiti e dall'immaginazione religiosa di uno scrittore cattolico. In altre parole, quell'idea mi è stata data dalla religione. Nel complesso, essere spirituali ed essere religiosi fanno entrambi parte dell'essere in relazione con Dio. Nessuno dei due può essere pienamente realizzato senza l'altro. La religione senza spiritualità diventa un secco elenco di affermazioni dogmatiche separate dalla vita dello spirito. Questo è ciò contro cui Gesù ha messo in guardia. La spiritualità senza religione può diventare un compiacimento egocentrico separato dalla saggezza di una comunità. Questo è ciò che sto avvertendo.
Fonti: bc.edu - cesapp.catholic.edu.au - catholicworldreport.com - todayscatholic.org - thinkingfaith.org
Essere Cristiani
Ma Gesù rispose loro: «Il Padre mio opera sempre e anch'io opero». Giovanni 5, 17
Il cristianesimo non è solo una religione, non è solo una dottrina, non è solo un insieme di norme morali; è infatti tutto questo e molto di più. Il cristianesimo è una Persona: Gesù Cristo. Una Persona Divina, ossia un Dio-Uomo. Se Dio è Onnipotente, Egli può tutto. Può quindi aver liberamente generato un Figlio-Dio: il Cristo, il Verbo Eterno del Padre. Ora, il Verbo è la Parola per eccellenza, ossia l’esplicitazione della Mente e del Cuore di Dio. Quando noi parliamo con sincerità, parliamo con la mente e con il cuore, ossia “tiriamo fuori” quello che pensiamo veramente. Non abbiamo altri mezzi: il Signore ci ha creati così. Questo espandersi della nostra coscienza è una forma di amore, e l’Amore per eccellenza, che è Dio, pronuncia eternamente la Sua Parola mediante il Figlio, entrambi uniti dallo Spirito Santo che da essi procede e che essi fonde, con Se Stesso, in un unico Signore: la Santissima Trinità.
Roberto Benigni, famoso attore, comico e recitatore italiano, un vero amante dell’Italia e dell’umanità, nel corso di una sua trasmissione dal nome “La più bella del mondo”, riguardante la Costituzione della Repubblica Italiana, ha riportato un storia che andiamo ora a leggere:
C’era un uomo, fondamentalmente buono e onesto, che si assopì, una sera d’estate, sul balcone di casa sua. Sognò un angelo, con un libro in mano, e gli chiese: “Che libro leggi?” L’angelo rispose: “In questo libro sono scritti i nomi delle persone che amano Dio”. L’uomo gli chiese: “È scritto anche il mio nome?” L’angelo rispose: “No, non è scritto”. L’uomo si rattristò e disse: “Io sono una persona buona e onesta, io amo gli altri uomini”. Il giorno dopo, l’uomo si addormentò nuovamente sul balcone di casa sua. Sognò l’angelo con un altro libro in mano. L’uomo gli chiese: “Che libro leggi?” L’angelo rispose: “In questo libro sono scritti i nomi delle persone amate da Dio.” L’uomo gli chiese: “C’è il mio nome?”. L’angelo rispose: “È il primo.”
Se dunque non amiamo la nostra vita ed il prossimo, non possiamo amare veramente Dio. La guerra in nome della religione non è mai giustificabile, anche se le vere ragioni di tutto ciò sono pressoché ignote. L’insegnamento e l’opera di Gesù Cristo non intendono però omologare l’umanità in una sorta di “buonismo”. Ognuno di noi è unico ed irripetibile; solo l’onnipotente azione creatrice del Signore è in grado di fare tutto ciò. L’uomo, inoltre, non è mai pienamente soddisfatto, non è mai veramente felice. Questo è sotto gli occhi di tutti: è inutile filosofare sulla questione o cercare di spiegarla: è così. Tuttavia quanto detto risulta ugualmente fonte di ragionamenti, pensieri e conclusioni di ogni tipo, che vanno dal pessimismo più nero all’aspettativa più rosea. Solo dopo la morte, forse, capiremo il perché di tutto ciò, ma non dobbiamo neppure illuderci che la morte ci scrolli completamente del fardello che abbiamo portato (o creato) durante una vita intera. Perché mai migliaia di Santi e di Sante erano (e sono) così ansiosi di raggiungere una certa “realizzazione spirituale” già su questa Terra? Se fosse sufficiente il semplice morire, per chiarire tutto, perché tante lotte, sofferenze e fatiche? Possiamo citare San Paolo, che nella sua Lettera ai Romani, Capitolo 8, versetti 19-23, ha scritto: "La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di Colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo."
Gesù è il modello a cui ogni vivente, anche se non cristiano, è chiamato a guardare, osservare, cercare di comprendere. L’uomo lavora? Anche Gesù lavorò. L’uomo gioisce? Anche Gesù provò gioia. L’uomo piange? Anche Gesù pianse. L’uomo prega? Anche Gesù pregò. L’uomo vuole giustizia? Anche Gesù la volle. L’uomo muore? Anche Gesù morì. Il primo insegnamento del Cristo, la sua “opera” fondamentale, è la sua stessa incarnazione. Poi vengono la Sua Parola, la Sua Opera e la Sua Resurrezione, il più grande miracolo di tutti i tempi, il segno maggiore della divinità di Cristo. Quando Gesù si “trasfigurò” sul monte Tabor, davanti ai suoi Apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, ad un certo punto si formò intorno a loro una nube. Ecco cosa disse il Padre, in Luca 9, 35: “E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo».” Un grande “carismatico” dei nostri tempi, Harold Hill, ha definito la Sacra Bibbia “Il manuale del Costruttore.” Noi siamo stati “costruiti” da Dio, e la Sua Parola, racchiusa nelle Scritture, è il “libretto d’istruzioni” delle nostre vite. Desideriamo veramente “risvegliarci a nuova vita”? Iniziamo con il nostro corpo, la nostra anima e la Bibbia, incominciamo a leggere le istruzioni ed a metterle in pratica. I risultati non tarderanno ad arrivare: soddisfatti o rimborsati.
In Giovanni 12, 47-50, Gesù afferma: “Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho annunziato lo condannerà nell'ultimo giorno. Perché io non ho parlato da me, ma il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi ha ordinato che cosa devo dire e annunziare. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico come il Padre le ha dette a me.”
Molte volte Gesù afferma di essere venuto “per compiere la Volontà del Padre”. Il disegno di Dio Padre su Gesù Cristo non è complicato: innanzitutto Gesù è l’agnello sacrificale che viene ucciso per liberarci da qualunque genere di peccato, ossia dall’andare contro il disegno della creazione, come essa era in origine. Sembra brutto definire una persona “agnello sacrificale”, soprattutto se si tratta di un Dio-Uomo, ma è così. Noi tutti, anche se non ci pensiamo e non ce ne accorgiamo, a volte siamo “sacrificati”. In che modo? Le nostre sofferenze non sono casuali: esse sono predisposte per purificare le nostre anime o quelle altrui. In effetti, certe tribolazioni che vivono alcuni individui in particolare hanno luogo per "purificarci dal peccato". Non c’è altro modo, a parte affidarsi in tutto e per tutto all’Altissimo; comunque, anche in questo caso, probabilmente dovremo soffrire. La “moneta” che viene utilizzata nel mondo “metafisico”, ossia oltre la materia, è la sofferenza. Il Cristo ha pagato tutto il debito, perché mai dovremmo noi ancora soffrire? La Chiesa afferma che Gesù ha cancellato le nostre “colpe”, tuttavia, spesso, dobbiamo “pagare” per le conseguenze che i nostri peccati, più o meno gravi, hanno su chi ci circonda e, addirittura, sul mondo intero, dal momento che l’umanità, nella sua interezza, è la somma di tutti i suoi membri, uniti misteriosamente, ma realmente, in qualcosa che ci può apparire piuttosto imponderabile, ma che è realmente presente ed operante. Si tratta del “Corpo Mistico di Gesù Cristo” oppure, per i non-cristiani, l’umanità in quanto “specie interconnessa”, i cui membri sono in profonda e continua relazione fra di loro. San Paolo, nella sua Prima Lettera ai Colossesi, afferma: "Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa."
Il Signore ha tracciato una Via non solo a parole, ma con la carne e con il sangue, con la materia: il legno della Croce e quello che plasmava quand’era falegname a Nazaret; il pane spezzato (il Suo Corpo); il vino versato (il Suo Sangue); le lacrime che versò per la morte del Suo amico Lazzaro, che poi risuscitò; i chicchi di grano, raccolti nei campi, con cui un giorno si sfamarono i Suoi Apostoli e Discepoli in difficoltà; l’acqua del fiume Giordano in cui venne battezzato da Giovanni; l’acqua tramutata in vino alle nozze di Cana; il profumo di nardo genuino, contenuto in un vasetto di alabastro, con cui venne unto il Suo Capo da una donna, mentre era a mensa con i Suoi Discepoli a casa di Simone il lebbroso, prima di essere condannato a morte; la moneta d’argento che San Pietro, su richiesta di Gesù, trovò in un pesce preso all’amo, utilizzata per pagare la tassa per poter entrare nel Tempio; il metallo dei chiodi che Gli vennero conficcati nelle mani e nei piedi; il sangue e l’acqua che sgorgarono dal Suo Cuore trafitto da una lancia, dopo la Sua morte in Croce; le lacrime con cui una donna pentita Gli lavò i piedi, per poi asciugarli con i suoi capelli; l’acqua e l’asciugamano che Gesù utilizzò per lavare i piedi dei suoi Apostoli, prima di essere ucciso; la tunica “cucita tutta d’un pezzo” che indossava; il pane ed il pesce arrostito che Egli preparò per i suoi “Fratelli”, sulla spiaggia del lago di Tiberiade, dopo essere risorto dai morti, ed un’infinità di altre cose.
L’opera continua del Cristo è inoltre quella di svelarci il volto di Dio, del Padre di ogni creatura. La maggior parte delle religioni pre-cristiane e non solo, ha sempre visto la Divinità in termini di Potenza, Sapienza, Forza e Giustizia. Tutto ciò è vero, ma il Bambino della grotta di Betlemme, adorato dai pastori e dai Magi, avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia, cerca di farci capire veramente, come poi dirà il Maestro medesimo, che il Regno di Dio è fondamentalmente diverso dai Regni umani, anche se Dio li permette e, in una certa misura, li guida. Il Dio di Gesù Cristo è perfettamente consapevole dei suoi infiniti e meravigliosi attributi, ma vuole una cosa da noi. Il nostro amore. Un grande sovrano può anche essere ubbidito, rispettato, osannato e temuto, spesso anche lodato ed adulato. Ma chi potrà mai obbligarci ad amare qualcuno, se non lo vogliamo? Ecco, il Signore Dio, l’Altissimo, pur potendo, in teoria, obbligarci anche ad amarLo, non lo fa. Anzi, spesso è addirittura odiato o, semplicemente, ignorato e trattato con indifferenza. Pur essendo Onnipotente, Egli aspetta con trepidazione il nostro amore; per questo non ci rende nemmeno le cose facili: il male divampa ovunque, all’interno di noi e fuori di noi, questo è sotto gli occhi di tutti. Come amare un Dio che permette tante sofferenze? La Beata Camilla Battista da Varano, un giorno prese uno strano proposito con il Signore e con se stessa. Ogni venerdì avrebbe dovuto versare almeno una lacrima in memoria della Passione e Morte di Gesù Cristo. Non importa come, dove ed in quale stato d’animo: questa lacrima doveva uscire fuori. Ella ci riuscì, sicuramente con l’aiuto del Signore. Molti potrebbero trovare alquanto bizzarro un tale comportamento, addirittura ipocrita. In alcune regioni meridionali d’Italia ed in altre Nazioni, esistono delle persone, donne in particolare, con il preciso compito di piangere ad un funerale di qualcuno. Tutti sanno che è una specie di recita, eppure ciò è apprezzato. Dio è al di là del nostro essere saggi o stolti, sani di mente o folli: questa lacrima, questo amore, in qualche modo deve uscire fuori, anche se si trattasse di “spremere il limone” dei nostri cervelli e dei nostri cuori. Non sto dicendo che dobbiamo essere ipocriti con il Signore; Egli stesso, nelle Scritture, biasima apertamente il formalismo religioso, il culto e la ritualità fini a se stessi, portati avanti solo per “sentirci tranquilli”. Tuttavia è come fra due persone che si amano da molto tempo: se sono in buoni rapporti, solitamente, concludono le loro telefonate con un “Ti amo”, spesso detto quasi meccanicamente, eppure pronunciato: “Io ti amo. Tu mi ami”. Tutto qui, eppure molti di noi conoscono il prezzo a cui tale amore, spesso, è “acquistato”, e quante sofferenze, inoltre, sono generate dalla mancanza di amore, dato e ricevuto. L’insegnamento di Cristo è anche questo: spremiti e ama, proprio come una gustosa quanto dissetante spremuta d’arance.
L’immagine negativa di Dio che a volte portiamo con noi, così ben esplicitata nell’alternanza di fiducia e sfiducia espressa nell’Antico Testamento, ha bisogno di purificarsi nell’immersione delle nostre menti e dei nostri cuori nel Nuovo Testamento: un’eterna lode al Figlio del Dio Vivente, il quale svela e conferma il volto benigno del Padre, anche se spesso severo, proprio come tanti “papà” umani. Gesù, come scrive Paolo Curtaz nel suo breve saggio “Credo in Gesù Cristo”, ci permette di conoscere Dio in verità e grazia, perché Lui e il Padre sono una cosa sola.
Nel Vangelo secondo San Giovanni, al Capitolo 1, versetti 16-18, sta scritto:
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto
e grazia su grazia.
Perché la legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio nessuno l'ha mai visto:
proprio il Figlio unigenito,
che è nel seno del Padre,
lui lo ha rivelato.
Un aspetto importante del cristianesimo riguarda direttamente l’umanità-divinità di Cristo; a Lui dobbiamo adorazione non solo in quanto Egli è Dio, ma anche perché è il Mediatore Supremo fra il Padre e gli uomini. “Ad Jesum per Mariam. Ad Patrem per Jesum.” “A Gesù per Maria. Al Padre per Gesù.” Non si tratta tanto di seguire un determinato “filo logico” racchiuso in queste parole, anche perché ciascuno di noi ha una particolare sensibilità riguardo a queste cose, ma di vivere essendo consapevoli del cosiddetto “cristocentrismo”, tanto caro a San Francesco d’Assisi. Quando siamo nelle prova, nella tristezza, nella manchevolezza, nel vuoto, addirittura nella disperazione, benché sorretti da più di duemila anni di cristianesimo, è difficile scorgere il Volto Benigno del Padre; senza Gesù Cristo tutto ciò può risultare assai gravoso. Ma fissando lo sguardo sul Maestro di Galilea è possibile che noi riusciamo a ripetere le Sue parole, dette in punto di morte: “Padre, nelle Tue mani consegno il mio spirito”. Come sappiamo, al “ladrone pentito”, l’unico che nelle Scritture chiama il Cristo semplicemente “Gesù”, il Signore dice: “In verità ti dico: oggi sarai con me in Paradiso”. Nessun’altra divinità adorata dagli uomini ha mai pronunciato parole simili; possiamo poi disquisire per ore su “quanta gloria” sia dovuta a questo “ladrone pentito”, dal momento che il Signore ha avuto senz’altro misericordia anche per il “ladrone non pentito”. Benchè nelle Scritture si parli diverse volte di “corone di gloria”, vuoi corruttibili vuoi incorruttibili, è più che sufficiente essere consapevoli di poter “tornare a casa”. Stiamo, però, omettendo una Persona molto importante, che può aiutarci a far luce sul mistero del Cristo: lo Spirito Santo. In Giovanni 16, 13, possiamo leggere: “Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future.”
In moltissime culture antiche e moderne, come lo Sciamanesimo e la spiritualità degli Indiani d’America, nei modi più svariati, è invocato il “Grande Spirito”: questi popoli ed in particolare i loro “sacerdoti” sono perfettamente consapevoli che l’animo umano, di fronte alla divinità, è come un bicchiere da riempire, e questo può essere fatto solo dallo Spirito. Questo bicchiere può essere vuoto, e quindi estremamente ricettivo, oppure pieno, e quindi bisognoso di essere opportunamente svuotato, ossia purificato. Lo Spirito Santo, inviato dal Padre e dal Signore Gesù, è l’espressione più pura ed autentica di Dio, tanto che Gesù arriva ad affermare che ogni bestemmia sarà perdonata, ma non quella contro lo Spirito, che è rifiuto totale della Verità che “viene dall’alto”, che va a braccetto, addirittura, con quanto alcuni esponenti della setta dei Farisei dissero di Gesù Cristo, ossia che i miracoli da Lui compiuti erano opera del male e non del bene. Lo Spirito di Dio illumina a Suo piacimento chi vuole, anche i non cristiani; l’importante è avere un minimo di “ricettività”, che non è un dono od un carisma particolare, ma semplicemente l’essere disposti a cedere a Dio una quantità, più o meno grande, del nostro “io”. Lo Sprito Santo non è un qualcosa di “evanescente”, ma può essere perfettamente “sperimentato” nelle modalità più svariate, può essere addirittura, in certi casi, percepito dai nostri sensi, interni ed esterni. Nella preghiera del “Credo” (Simbolo Niceno-Costantinopolitano) si legge: “Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio.” Egli è dunque “datore di vita”, ossia l’Energia purissima e vivificante di Dio, Egli è più Reale della cosiddetta “realtà”, e perfino di noi stessi, se non avessimo la vita in Lui e per Lui.
Tornando al Signore Gesù, in che modo possiamo conoscere il Suo insegnamento e la Sua opera? Attraverso le Scritture, l’opera dello Spirito Santo, i testimoni diretti della Sua azione, misericordia e giustizia ed i Suoi Sacerdoti (che hanno ricevuto il Sacramento dell’Ordinazione Sacerdotale, in linea diretta con i Santi Apostoli del Signore).
Noi possiamo leggere il Nuovo Testamento, ed in particolare i Vangeli, per far rivivere nella nostra mente e nel nostro cuore ciò che Gesù ha voluto indicarci, offrirci e donarci. Tuttavia dobbiamo sempre tenere presente quanto San Giovanni Apostolo, “il Discepolo che Gesù amava”, scrive alla fine del suo Vangelo, al capitolo 21, versetto 25:
"Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere."
Nessuno di noi è esegeta, ossia “interprete”, perfetto; leggendo però le Scritture, illuminati dallo Spirito, le corde nei nostri cuori vengono accarezzate in maniera particolare, generando in ciascuno di noi una musica meravigliosa, diversa per ciascuno come diversi sono gli uomini e le donne fra loro, e tuttavia unica, come un tutt’uno è l’umanità. Le testimonianze di fede, nonché di rigorosa storiografia, sia dirette sia indirette, riportate nei Vangeli, ci aiutano non solo a comprendere cosa il Signore ha fatto (e continua a fare), non solo cosa Egli vuole da noi, piccoli o grandi “operai nella mistica vigna”, ma anche lo Spirito di ciò che Egli dice, in quanto la Sua Parola ha una misteriosa quanto efficace “azione purificatrice”. Leggiamo infatti, in Giovanni 15, 3: “Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato.” Se crediamo che Gesù è il Verbo del Dio Vivente, ossia l’eterna Parola del Padre… allora possiamo comprendere come la “Parola della Parola” possa anche avere una potente azione di purificazione e guarigione. Come scrive Paolo Curtaz nel suo citato saggio: “Attraverso i Vangeli, letti e interpretati in compagnia di coloro che lo hanno seguito lungo i secoli, possiamo accedere a Gesù e al suo messaggio su Dio”. La Parola del Signore, Padre, Figlio e Spirito Santo, inoltre, quando viene letta, soprattutto in pubblico ma anche in privato, ha inoltre una potente azione attualizzante, ossia parla direttamente a colui che legge, all’uditorio o addirittura a qualcuno in particolare che l’ascolta. Chi scrive queste pagine ha spesso sperimentato questo interessante quanto meraviglioso fenomeno: la Parola raggiunge direttamente la nostra mente ed il nostro cuore, in maniera ben circostanziata, quando ciò è necessario. Nella Lettera agli Ebrei di San Paolo Apostolo, al capitolo 4, versetto 12, possiamo leggere: “Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore.” Tutto ciò è assolutamente vero e sperimentabile da chiunque, non si tratta d’invenzioni o espressioni scritte a caso.
Cosa vuole il Signore, da noi Sue creature, figli e figlie amatissimi? Soprattutto una cosa sola: amare Dio, il prossimo e se stessi. Tutta la Sacra Bibbia ruota intorno a questo caposaldo; il “decalogo”, ossia i dieci Comandamenti che Mosè ricevette da Dio sul monte Sinai, perfezionati e sintetizzati in seguito dal Figlio dell’uomo, tentano di avvicinare noi tutti alla suprema quanto universale realtà dell’amore. Prendiamo, ad esempio, il primo Comandamento, riportato in Esodo 20, 2-3: “Io Sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dèi di fronte a me.” Dov’è, qui, l’amore? Semplice: se uno ama Dio, non lo tradisce. Quarto Comandamento: “Onora il padre e la madre”. Se uno ama suo padre e sua madre, non farà o dirà cose spiacevoli nei loro confronti. Nono Comandamento: “Non desiderare la donna d’altri”. Se uno ama sua moglie (o suo marito), non tradirà. Come detto, tutti i Comandamenti divini ruotano intorno ad una sola parola: amore. Per quanto riguarda il Giudizio Universale, illustrato dal Maestro di Galilea nella spettacolare quanto tremenda visione delle opere di “misericordia corporale”, la nostra attenzione deve necessariamente andare al tipo di azioni richieste dal Signore nei confronti del prossimo. Quali sono queste opere? Essenzialmente sono sette, secondo l’insegnamento di Gesù Cristo e della Sua Chiesa, adeguate comunque in base alle circostanze in cui ciascuno di noi si venisse a trovare: 1) Dar da mangiare agli affamati. 2) Dar da bere agli assetati. 3) Vestire gli ignudi. 4) Alloggiare i forestieri. 5) Visitare i malati. 6) Visitare i carcerati. 7) Seppellire i morti.
Queste opere, per Gesù, sono d’importanza capitale, tanto che, purtroppo, la loro mancata esecuzione, porta il Maestro a parlare, addirittura, di “fuoco eterno”. Si tratta infatti di uno dei pochi passi evangelici in cui Gesù parla apertamente dell'Inferno. La diffusa “mancanza d’empatia”, ossia la capacità d’immedesimarsi nella “pelle altrui”, è purtroppo la fonte primaria di tante sofferenze che c’infliggiamo l’un l’altro, spesso in maniera inconsapevole, ma comunque deleteria. Aiutando dunque il nostro prossimo facciamo del bene agli altri, ma anche a noi stessi; non solo: noi Cristiani, infatti, crediamo che questo bene venga rivolto a Dio in Persona. Riportiamo infatti le incredibili quanto meravigliose parole di Gesù, che si possono leggere in Matteo 25, 40:
“Rispondendo, il Re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me.”
Il Signore, dunque, si identifica personalmente con i suoi “fratelli più piccoli”, ossia noi Suoi figli e figlie, ed in particolar modo in coloro che si trovano nel bisogno. Tutto ciò è semplicemente meraviglioso: Dio non solo è “con noi” e “per noi”, ma è anche “in noi”, perfettamente fuso nella nostra precaria quanto spesso contradditoria umanità. Egli, in ogni istante dell’eternità, sperimenta perfettamente ogni nostra sensazione, ogni nostro piacere, dolore, pensiero, opera e parola; solo la Sua Onnipotenza Gli permette questa mirabile attenzione, costantemente rivolta alle Sue creature. Non è semplicemente un "occhio onniveggente", ma è il nostro stesso Essere, la nostra stessa coscienza: noi non siamo uguali in tutto e per tutto a Dio, pur essendo Suoi figli, ma noi siamo in quanto Egli È. Come afferma Jean Lafrance nel suo libro "Prega il Padre tuo nel segreto", gli esseri umani non rientrano né nella categoria de "Lo stesso" né nella categoria de "L'altro". Possiamo dire: “Io sono solamente in quanto solo Dio è IO SONO”. Dio è in tutti: nel ricco e nel povero, nel bello e nel brutto, nel colto e nell’ignorante, nell’astuto e nel semplice… Tuttavia Egli ama identificarsi soprattutto con chi, mondanamente parlando, appare in posizione inferiore, fallimentare, con chi è nella disperazione, nella prigionia (qualunque siano le cause), nell’indigenza, nell’abbruttimento, nel bisogno delle più elementari sicurezze, nella malattia (fisica, psichica o spirituale), etc.
Un altro aspetto importante dell’insegnamento e dell’opera del Cristo è “l’annuncio del Regno dei Cieli” o “Regno di Dio”. Essenzialmente, il Regno dei Cieli è la Presenza Viva di Dio in mezzo a noi e dentro di noi. In Luca 17, 20-21 possiamo leggere:
Interrogato dai farisei: «Quando verrà il regno di Dio?», rispose: «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l'attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o: eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!». "In mezzo a voi" si traduce anche con "Dentro di voi".
Il Signore Dio, l’Altissimo, è al contempo trascendente ed immanente, ossia partecipe del Suo creato e delle Sue creature. Il Regno di Dio è sempre in mezzo a noi, ma l’Incarnazione di Gesù Cristo ha permesso a noi tutti di avere una chiara visione di Chi sia “La Porta” che conduce al Padre: Gesù medesimo. Il Regno dei Cieli è certamente il Paradiso, come comunemente affermato, ma è anche l’opera feconda d’amore del Signore verso le Sue creature e delle creature verso i Signore e fra di loro. Un verso d’una nota canzone cattolica afferma: “Dov’è carità e amore, qui c’è Dio”; tuttavia, anche se con i nostri sensi carnali possiamo solo farci una vaga idea del Regno, verrà il tempo in cui tutto sarà chiaro: per questo siamo chiamati alla sequela della Persona del Cristo e a mettere in pratica le Sue Parole. In Matteo 7, 25 possiamo infatti leggere: “Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia.” Questa “roccia” è Cristo Stesso e l’applicazione dell’amore del Cristo verso Dio, il prossimo e noi stessi; tuttavia il nostro sforzo non è sufficiente e, a ben vedere, questo è estremamente giusto e persino fonte di profondo conforto. La “Roccia”, “La Pietra Angolare” è Gesù; in Matteo 21, 42 è infatti scritto:
E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
La pietra che i costruttori hanno scartata
è diventata testata d'angolo;
dal Signore è stato fatto questo
ed è mirabile agli occhi nostri?
Per la stragrande maggioranza dell'umanità, la questione non è tanto “Dio esiste?”, bensì è l'interrogativo “Facciamo bene a seguire Gesù Cristo?”. Un “padre del deserto” dell’antichità disse molto appropriatamente: “Anche i demoni sanno che Dio esiste, per questo fremono e tremano”. La risposta più pragmatica e corretta potrebbe essere: “Prova a seguire Gesù, poi osserva i risultati dentro di te e fuori di te.” Certamente la sequela di Cristo non risolve, quasi magicamente, tutti i nostri problemi; anzi, spesso ci complica, apparentemente, la vita. Il Signore, infatti, desidera che noi abbiamo “fede”; per Lui la fede, anche se poca e tentennante, è preziosissima: tutto ciò è la Sua Volontà. Leggiamo quanto scritto in Luca 18, 7-8: “E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. Alla luce della cosiddetta “razionalità umana” nessuna religione risulta facile da seguire, ed il cristianesimo non fa eccezione: ma la fede non va sempre contro la ragione, anzi, spesso la fortifica e completa mirabilmente. Gesù Cristo stesso è definito, dall’anziano profeta Simeone, quando Lo vide Bambino fra le braccia di Maria, “segno di contraddizione”. Leggiamo, infatti, in Luca 2, 33-35: "Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima»". Gesù, a volte, mette letteralmente “a soqquadro” le nostre convinzioni e le nostre vite, per poi darci, però, “il centuplo quaggiù e la vita eterna”, come possiamo leggere nel diciannovesimo capitolo del Vangelo secondo San Matteo.
Come molti di voi sapranno, poco dopo la nascita di Gesù, il Capo locale, il Tetrarca Erode, per timore che il Re-Messia nato a Betlemme secondo le Scritture (la città del Re e Profeta Davide) avrebbe potuto in qualche modo sostituirsi a lui, fece uccidere tutti i neonati di questo centro urbano, dai due anni in giù (la cosiddetta “strage degli innocenti”). Tuttavia le paure di Erode erano assolutamente ingiustificate; come infatti dice la Liturgia cattolica: “Perché temi, Erode? Non toglie i Regni umani, chi dà il Regno dei Cieli.” Quindi i vari Monarchi e Presidenti possono stare assolutamente tranquilli: Gesù non intende privarli del loro potere terreno, anche se Egli fa e farà Giustizia. A questo proposito è utile fare una breve digressione riguardo alla concezione della parola “Re”, secondo la Sacra Bibbia. Fino al tempo del profeta Samuele, figlio di Anna, il popolo d’Israele non aveva mai avuto un “Re”, a parte i Giudici, che però non erano dei “monarchi” come comunemente s'intende. Il loro “sovrano”, infatti, era il Signore Dio in Persona. Tuttavia, ad un certo punto, gli israeliti, vedendo che tutte le altre Nazioni dell’epoca erano delle monarchie, spesso anche prospere, chiese a Dio, per mezzo del Profeta Samuele, un Re. Il Profeta sapeva che il Signore ne sarebbe rimasto “contristato”, e così fu, tuttavia Dio accordò al popolo un Re: Saul. In seguito Saul perse il favore dell’Altissimo, disubbidendoGli. A questo punto Dio fece ungere Re, da Samuele, Davide figlio di Iesse il betlemmita. Davide divenne non solo Re, ma anche Profeta, in quanto predisse l’avvento del futuro Messia, Gesù Cristo. Il Signore, infatti, ebbe come padre putativo San Giuseppe, un diretto discendente di Davide. Anche Maria Vergine Santissima fa parte della discendenza di Davide. Nel Salmo 109, al versetto 1, sta scritto:
Oracolo del Signore al mio Signore:
«Siedi alla mia destra,
finché io ponga i tuoi nemici
a sgabello dei tuoi piedi»
Questo versetto è a dir poco incredibile, ma vero. “Oracolo del Signore al mio Signore”, ossia “Oracolo di Dio al Signore Gesù, Figlio dell’Altissimo e Figlio di Davide”; qui non solo è anticipato il concetto di umanità-divinità di Gesù, ma anche la promessa divina che Egli sarebbe stato innalzato al di sopra di tutto e di tutti, fino a sedere “alla destra di Dio”.
Ritornando al tema del Giudizio Universale, cosa possiamo sperare per noi, soprattutto? Di riuscire a praticare, almeno un po', le opere di misericordia corporale e, poi, spirituale, morale, amicale, affettiva, etc. Ovviamente, dei circa sette miliardi e mezzo di esseri umani che attualmente popolano la superficie del pianeta Terra, non tutti sono cristiani, non tutti credono in Dio, non tutti sono buoni e generosi... Cosa possiamo aspettarci? Cosa possiamo dire? Ogni uomo o donna che nasce ha, in buona misura, una strada tracciata. Questo è sotto gli occhi di tutti e non richiede particolari dimostrazioni. Tuttavia, chi più e chi meno, noi tutti possiamo pregare il Signore affinché abbia pietà di noi e ci aiuti ad essere utili non solo a noi stessi, ma anche agli altri, ognuno a modo proprio e secondo le sue possibilità. Il fatto che le persone siano così diverse fra di loro e, apparentemente, così fortunate o sfortunate, rimane essenzialmente un mistero. La nostra fede va pertanto alimentata dalla consapevolezza che tutto è veramente nelle Mani di Dio e che, se a volte la Sua Volontà ci appare così insondabile e, a tratti, anche dura, Egli sa come guidarci e come trarre il bene anche dal nostro male e da quello altrui, per volgerlo in bene, aiutandoci così, un giorno, a passare indenni attraverso il Suo Giudizio.
La divinità di Cristo è una prova razionale dell'esistenza di Dio
Le tesi da me sostenute in questo capitolo sono queste:
1) L'esistenza storica di Cristo è una realtà incontestabile.
2) I fatti prodigiosi della narrazione evangelica sono una realtà altrettanto incontestabile.
3) Cristo fu realmente investito della dignità messianica e fu realmente divino.
La dimostrazione di queste tesi è stata da me fatta, non già con sottili disquisizioni filosofiche e metafisiche, ma soltanto con la ragione, cioè fondandomi sui fatti storici e sui fatti scientifici. [...]
Ed allora, se nella dimostrazione delle mie tesi ho seguito soltanto la ragione, e se per Razionalismo si deve intendere quella filosofia che non ammette altra verità, all'infuori di quella intesa dalla ragione umana (e tali sono i termini della definizione di Razionalismo), cio vuol dire che anch'io sono un razionalista, al pari di Strauss, di Paulus e di Renan, con la differenza però che il mio Razionalismo mi ha portato a conclusioni ben diverse, da quelle cui giunsero i razionalisti di tutte le scuole e di tutti i tempi, negatori unanumi della divinità di Cristo.
La conclusione, dunque, è questa e non può essere che questa: Cristo è realmente esistito, ed è realmente divino, cioè Figlio unigenito di Dio. Negare la divinità di Cristo è come negare la luce del Sole! Ed allora, se Cristo è il Figlio di Dio, ciò vuol dire che esiste Dio, perché se esiste il Figlio, deve necessariamente esistere il Padre. Dunque, la divinità di Cristo è un'altra prova razionale e scientifica dell'esistenza di Dio.
Ed ora una speciale parola rivolgo proprio a te, mio caro lettore. Se mi hai seguito, dalla prima all'ultima pagina di questo capitolo, con la necessaria attenzione, tu di certo sarai giunto alla medesima conclusione, cui è arrivato il mio ragionamento, a meno che tu non voglia respingerla, per partito preso: nel qual caso, però, devo farti osservare che il preconcetto è il peggior nemico della ragione.
Se la ragione, dunque, non ti fa difetto, e, nell'intimità della tua coscienza, sei convinto della divinità di Cristo, allora tu, guardando il Crocifisso, non vedrai più la fredda immagine dipinta o plasmata dall'artista, ma vedrai il Cristo vero, il Cristo che lampeggia e che Dante vide nel cielo di Marte del Suo "Paradiso", nel mezzo di una grande Croce luminosa:
" Qui vince la memoria mia lo ingegno;
ché in quella Croce lampeggia Cristo,
si ch'io non so trovare esempio degno;
ma chi prende sua croce e segue Cristo,
ancor mi scuserà di quel che io lasso,
vedendo in quell'albor balenar Cristo "
È bello notare che Dante, nella "Divina Commedia", in segno di devoto omaggio all'augusto Redentore, pur scrivendo dodici volte il Nome di Cristo in fine di verso, lo fa sempre rimare solo con Se Stesso.
Dal libro "Esiste Dio?" di Alfredo Mazzei
La Resurrezione è la più valida prova della divinità di Cristo
Ritorniamo ora nel suggestivo Paese di Gesù e fermiamoci col pensiero dinanzi al sepolcro, nel quale vennero deposte le spoglie mortali del Nazareno.
Un drappello di soldati romani vi monta di guardia, per impedire che venga rimossa la Salma che vi giace: la tomba è chiusa con una grossa pietra, e sulla pietra sono apposti i sigilli dei sinedriti, i quali vogliono così prendere le debite precauzioni, affinché il corpo di guardia non venga corrotto col denaro dai seguaci di Gesù, che aveva osato proclamarsi Figlio di Dio.
Essi pensavano che la questione della Resurrezione potesse essere inscenata dai Discepoli di Gesù, e fu precisamente questa l'accusa che i Giudei mossero loro, allorquando si seppe la notizia che, nelle prime ore della mattina della domenica, il sepolcro era stato trovato vuoto! Che cosa era successo? Lo sappiamo dai Vangeli. Avvenne una forte scossa di terremoto, seguita subito dalla sfolgorante apparizione di un angelo che rotolò la pietra tombale e vi si sedette sopra. In quelle ore antelucane, i soldati del corpo di guardia - che sonnecchiavano nelle vicinanze del sepolcro - rimasero spaventati, a tal punto che si dettero precipitosamente alla fuga, cercando scampo nella vicina porta della città.
Il Corpo di Gesù non si trovava più el sepolcro; era sparito in modo misterioso, era resuscitato. Lo dissero gli angeli, che apparvero alla Maddalena, la quale, fra le pie donne, fu la prima ad accorrere, nelle ore mattutine della domenica, alla tomba dell'amato Maestro, per provvedere alla definitiva imbalsamazione del venerato Corpo.
Per dare la prova tangibile della Sua Resurrezione, Gesù apparve parecchie volte, non a poche, ma a centinaia di persone, e non in spirito, ma in carne ed ossa. Ascoltiamo le affermazioni di queste centinaia di testimoni. Sono parecchie donne che dicono di averLo visto lungo la via e, prima fra queste, la Maddalena, alla quale Gesù ha anche parlato. L'hanno visto due Discepoli, Pietro e Giacomo, per la strada, ed anche in casa; poi sette Discepoli (di cinque dei quali si fa il nome) sul lago di Galilea; l'hanno visto dieci Apostoli, e poi altri undici; centoventi persone, tutte insieme, l'hanno visto presso Betania; più tardi l'ha visto Paolo, il quale afferma che erano circa 500 i testimoni oculari della Resurrezione di Cristo, molti dei quali ancora vivevano, quando l'Apostolo scriveva la sua prima lettera ai Corinti. Gesù redivivo apparve a uomini e donne, ora insieme, ora separati; ora di giorno, ora di notte; ora sulle vie, ora nelle case a mensa, sulla riva del lago, nell'orto accanto al sepolcro. I Discepoli e gli Apostoli Gli parlano ed ascoltano gli ammaestramenti dalla Sua viva voce; il Maestro mangia spesso insieme a loro; non è dunque un fantasma, ma un uomo, con tutti gli attributi della materia.
Gli Apostoli dapprima si mostrarono increduli, e noi conosciamo l'episodio di Tommaso, il quale, per accertarsi che Gesù fosse veramente Lui, in carne ed ossa, volle toccarlo una volta, mettendoGli la mano nella ferita del costato. Tutte queste manifestazioni, di quella che fu chiamata la seconda vita di Gesù, avvennero in un periodo di quaranta giorni, fino a quando il Suo Corpo disparve, con l'Ascensione al Cielo.
Questi sono i fatti, ed ora vediamo che cosa ci dicono in proposito i critici razionalisti. Alcuni negano in blocco la verità di tutti i miracoli della narrazione evangelica e quindi, a più forte ragione, la verità del miracolo della Resurrezione, che è il più importante; abbiamo veduto, altresì, che questi critici sono smentiti dalla realtà storica. Alcuni critici sostengono che Gesù non morì, quando fu creduto morto, e venne poi sepolto vivo: quindi nulla di straordinario, che sia poi uscito dal sepolcro, quando ebbe ripreso i sensi. Questa grossa panzana è clamorosamente smentita dalla scienza e dal buon senso. Infine, altri critici ammettono che Gesù morì realmente sulla Croce, ma che la Sua Resurrezione è null'altro che il parto dell'accesa fantasia e dell'allucinazione di Maria di Magdala, di altre donne, non meno allucinate che ella, e di tutti gli uomini, che dicono d'averlo visto e toccato. Il sostenitore principale di questa tesi è il Renan, il quale, d'altra parte, nulla sa congetturare nei riguardi della sparizione del cadavere di Gesù (e noi sappiamo quanto sia difficile far sparire un morto...!). Renan conclude la sua avventata critica, affermando che l'origine e lo sviluppo del Cristianesimo "non si spiegano con la ragione, ma con la follia..."
Vediamo se può avere un qualche fondamento la tesi della suggestione e dell'allucinazione, sostenuta con tanto fervore dal Renan. La storia ricorda alcune allucinazioni, ma si tratta sempre di fenomeni individuali e mai collettivi, avvenuti una volta sola, in determinate circostanze, e mai più ripetuti. Se percorriamo tutta la storia antica e moderna, non troviamo mai neanche un solo fatto, che possa paragonarsi alla Resurrezione di Cristo, il quale fatto venne constatato da centinaia di persone, e non una volta sola, ma parecchie e parecchie volte, nello spazio di quaranta giorni. Dobbiamo, inoltre, notare che le allucinazioni possono avvenire, quando l'animo è preparato a subirle, per trovarsi poi in preda a forti sentimenti di timore, o di amore: inosmma, in preda a grandi e turbinose passioni. Nel caso della Resurrezione di Gesù, troviamo nelle pie donne, negli Apostoli e nei Discepoli, uno stato psicologico tutt'altro che favorevole, anzi precisamente contrario alle allucinazioni. Difatti sappiamo che, da principio, le donne non credettero ai propri occhi e alle proprie orecchie, e non osavano parlare agli Apostoli, di ciò che avevano visto e udito; gli Apostoli stessi non vollero prestar fede al racconto delle donne, e le trattarono da deliranti; quando poi videro Gesù, credettero di trovarsi dinanzi ad un fantasma, tanto che il Nazareno dovette dar loro le prove materiali della Sua esistenza fisica, per indurli a credere... Dove esiste, dunque, il fondamento dell'allucinazione? Crediamo piuttosto che, invece delle donne, degli Apostoli e dei Discepoli, sia stato Renan una vittima dell'allucinazione!
La Resurrezione di Gesù è un fatto storico come tutti gli altri, e della sua realtà non si può dubitare: essa è un avvenimento miracoloso, che costituisce la più valida prova della divinità di Cristo.
Dal libro "Esiste Dio?" di Alfredo Mazzei
Esistenza storica di Gesù
Per quanto riguarda l’esistenza storica di Gesù Cristo esistono numerose ragioni concettuali e prove storiche che la dimostrano ampiamente. Cercheremo ora di elencare alcune prove del passaggio su questa Terra del Signore Gesù, dove visse in carne ed ossa più di duemila anni or sono, prove “cristiane” e “non cristiane”, senza dimenticare che Egli è l'Unico Dio e Uomo che mai sia esistito e che mai esisterà. Il Vangelo, innanzitutto, da chi fu scritto? Da Matteo (un Apostolo che fu ex-esattore delle tasse per conto dei Romani), da Marco (un uomo che fu opportunamente istruito dall’Apostolo Pietro), da Luca (un medico, anche lui Discepolo), e da Giovanni (un altro Apostolo, quindi testimone oculare come Matteo delle opere del Signore, definito “il Discepolo che Gesù amava”, peraltro unico fra i Dodici che ascoltò direttamente le ultime parole di Cristo, morente sulla Croce). Una tipica prova indiretta e concettuale dell’esistenza storica di Gesù sono i contenuti del Nuovo Testamento, costituito dai tre Vangeli detti “sinottici” (per via della loro essenziale concordanza), dal Vangelo di Giovanni, dagli Atti degli Apostoli (ossia cosa essi fecero dopo l’Ascensione di Gesù al Cielo, in concomitanza, cioè, della Sua Presenza in forma tipicamente spirituale), dalle Lettere dei Suoi Apostoli, dalle Lettere di San Paolo e dal libro dell’Apocalisse. Secondo voi, è possibile che tali contenuti, così nuovi, dirompenti, spesso controcorrente, dall’inesauribile profondità spirituale e materiale, talvolta apparentemente avversi ad ogni “logica” e “buon senso”… siano stati semplicemente inventati? Creati a tavolino da un gruppo di persone (chissà chi, poi) che potevano prevedere un tale successo, costato un mare di “sangue, sudore e lacrime”, una tale globale diffusione, fino ai giorni nostri? Ai tempi di Gesù, certamente, esistevano molti “iniziati” ai “misteri”, anche di livello molto alto, ma nessuno – ripeto nessuno – poté non solo dire ciò che Gesù disse, ma addirittura operare segni e miracoli d’una portata tale che fu accessibile ai figli di Adamo solo dopo che Cristo visse e predicò, a parte alcuni rari casi che riguardano gli antichi Profeti, comunque anch’essi inseriti nell’alveo della Rivelazione, ossia delle Sacre Scritture, senza contare, naturalmente, il Miracolo dei miracoli: la Sua Risurrezione.
La più antica testimonianza cristiana che si conosca, riguardo alla verace origine dei Vangeli, è di Papia, Vescovo di Gerapoli; in una sua opera scritta all’incirca nell’anno 120 d.C., citata anche da Eusebio, riporta che, effettivamente, Matteo, Marco e Giovanni furono Evangelisti. Ireneo, Vescovo di Lione, nato a Smirne nel 130 e “discepolo” del Vescovo Policarpo, che fu diretto testimone dell’opera di San Giovanni Apostolo, scrisse: “Matteo, che stava fra gli Ebrei, pubblicò il vangelo in ebraico mentre Pietro e Paolo evangelizzavano Roma, e vi fondarono la Chiesa. Dopo la partenza di questi, anche Marco, il discepolo e l’interprete di Pietro, trascrisse ciò che Pietro aveva insegnato e Luca, compagno di Paolo, redasse il vangelo annunziato da quello. Di poi Giovanni, discepolo del Signore che riposò sul Suo petto, pubblicò il suo vangelo dimorando a Efeso nell’Asia.”
Una delle fonti non cristiane dell’esistenza di Gesù è lo storico giudeo Flavio Giuseppe, nato a Gerusalemme pochi anni dopo la morte di Cristo. Egli fu a capo della rivolta anti-romana dell’anno 66 d.C. Dopo essere stato sconfitto, riuscì, incredibilmente, a diventare servitore del comandante romano Vespasiano, che sarebbe divenuto poi Imperatore. Flavio Giuseppe fu autore delle “Antichità giudaiche”, in cui fece menzione di Gesù e dei cristiani, in maniera diretta e indiretta. Innanzitutto descrive la morte di Giovanni il Battista, il Precursore del Signore, che fu decapitato per ordine di Erode Antipa. Inoltre, nella sua opera, è riportato un altro decesso, quello di Giacomo “fratello di Gesù, chiamato il Cristo.” Flavio scrisse anche il “Testimonium Flavianum”, sempre nell’ambito delle “Antichità giudaiche”, che riportiamo di seguito:
"Ora, ci fu verso questo tempo Gesù, un uomo sapiente, seppure bisogna chiamarlo uomo: era infatti facitore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità. E attirò a sé molti Giudei, e anche molti dei Greci. Costui era il Cristo. E avendo Pilato, per denuncia degli uomini principali fra noi, punito lui di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti comparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già detto i divini profeti queste e migliaia d'altre cose mirabili riguardo a lui. E ancora adesso non è venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati i Cristiani"
A molti studiosi, tuttavia, questo testo appare eccessivamente elogiativo, soprattutto perché Flavio Giuseppe era giudeo, e per di più non cristiano. Nel 1971 il Prof. Shlomo Pinès, dell’Università Ebraica di Gerusalemme, scoprì una versione leggermente diversa del brano riportato, contenuta in un’opera araba del X secolo, denominata “Storia universale di Agapio”, Vescovo siriano di Hierapolis. Ecco cosa scrisse, più probabilmente, Flavio Giuseppe:
"A quell'epoca viveva un saggio di nome Gesù. La sua condotta era buona, ed era stimato per la sua virtù. Numerosi furono quelli che, tra i Giudei e le altre nazioni, divennero suoi discepoli. Pilato lo condannò ad essere crocifisso e a morire. Ma coloro che erano divenuti suoi discepoli non smisero di seguire il suo insegnamento. Essi raccontarono che era apparso loro tre giorni dopo la sua crocifissione e che era vivo. Forse era il Messia di cui i profeti hanno raccontato tante meraviglie"
Tuttavia, anche in questa versione “epurata” dalle possibili aggiunte o migliorie ad opera “d’ignoti”, l’esistenza storica di Gesù non è messa in alcun dubbio, come la condanna da parte di Pilato, il fatto che ebbe dei Discepoli, la “probabilità” della Sua Risurrezione e del fatto che Egli fosse, “forse”, il Messia preannunziato dai Profeti.
Nel 73 d.C., lo storico siriano Mara Bar Sarapion, in una sua lettera, riporta come i Giudei misero a morte il loro “saggio re”: appare dunque una cosa apparentemente assurda che il popolo giudaico, in un ben preciso momento storico, abbia messo a morte uno dei suoi “re”. Ricordiamo che la scritta che il Governatore Ponzio Pilato fece apporre sulla Croce, in latino, aramaico e greco, era “Gesù Nazareno Re dei Giudei”; il Messia, cioè il Cristo (l’Unto di Dio) ebbe infatti da sempre l’appellativo di “Re”.
Per quanto riguarda l’esistenza dei primi cristiani e delle loro comunità (la cosiddetta Chiesa Protostorica), abbiamo una lettera, scritta nel 112 d.C. da Plinio il Giovane, inviata all’Imperatore Traiano. In questa epistola si parla chiaramente dei cristiani di Bitinia, in Turchia, in questi termini: “Erano abituati a radunarsi prima del levare del sole, per cantare un carme a Cristo come a un Dio.”
Nel 117 d.C., anno in cui Nerone fece dare alle fiamme la città di Roma, per incolpare poi i cristiani (Problema-Reazione-Soluzione), lo storico Tacito scrisse negli “Annali”: “Ne presentò come rei e colpì con supplizi raffinatissimi coloro che il volgo, odiandoli per i loro delitti, chiamava Cristiani. L'autore di questa denominazione, Cristo, sotto l'impero di Tiberio (imperatore dal 14 al 37 d.C.,), era stato condannato al supplizio dal Procuratore Ponzio Pilato; ma, repressa per il momento, l'esiziale superstizione erompeva di nuovo, non solo per la Giudea, origine di quel male, ma anche per l' Urbe, ove da ogni parte confluiscono tutte le cose atroci e vergognose.”
Anche lo storico Svetonio conferma la persecuzione contro i cristiani, operata durante l’impero neroniano; egli scrisse infatti che essi “furono sottoposti a supplizi”; tuttavia Svetonio, essendo dalla parte del regime, li definisce “razza di uomini d'una superstizione nuova e malefica”. In questo modo, però, non nega la loro esistenza storica.
Giustino di Nablus, nel suo “Dialogo col giudeo Trifone”, menziona Gesù in quanto “impostore Galileo”, ed il Cristo, effettivamente, era un Galileo, anche se nato a Betlemme di Giudea (ma, naturalmente, non fu un impostore): “È sorta un'eresia senza Dio e senza Legge da un certo Gesù, impostore Galileo; dopo che noi lo avevamo crocifisso, i suoi discepoli lo trafugarono nottetempo dalla tomba ove lo si era sepolto dopo averlo calato dalla croce, ed ingannano gli uomini dicendo che sia risorto dai morti ed asceso al cielo.” Il medesimo Giustino, nella Seconda Apologia, riporta il parere di un filosofo sui cristiani: “Veramente è ingiusto ritenere per filosofo colui che, a nostro danno, rende pubblicamente testimonianza di cose che non conosce, dicendo che i Cristiani sono atei e scellerati; e dice ciò per ricavarne grazia e favore presso la folla, che resta ingannata.”
Un altro riferimento alla figura del Cristo è contenuto nel “Talmud di Babilonia”, testo tradizionale ebraico scritto nel V-VI secolo, in cui si afferma che Egli fu giustiziato alla vigilia di Pasqua in quanto “praticava la stregoneria”. I cristiani vengono menzionati anche nella preghiera ebraica denominata Birkat Ha Minim, facente parte del testo liturgico delle “Diciotto Benedizioni”, redatto nel I secolo: “Che per gli apostati non vi sia speranza; sradica prontamente ai nostri giorni il dominio dell'usurpazione, e periscano in un istante i Cristiani e gli eretici: siano cancellati dal libro della vita e non siano iscritti con i giusti. Benedetto sei tu, Signore, che schiacci gli arroganti.”
Uno dei primi storici romani ad affermare la realtà della crocifissione di Gesù fu un certo Tallo; Sesto Giulio Africano, in un suo scritto, commenta un passo di Tallo che parla del misterioso fenomeno dell’oscurità che, come sostengono le Scritture, si ebbe alla morte di Gesù: “Tallo, nel terzo libro della sua Storia, definisce questa oscurità un'eclisse solare. Questo mi sembra inaccettabile.” Anche Dione Cassio, storico e senatore, cita i cristiani nella sua “Storia romana”: “Tutti adunque convengono nel dire che Antonino fu uomo giusto e dabbene; perciocché né gli altri sudditi aggravò, ne i Cristiani, ai quali grande rispetto e venerazione usò, e l’onore accrebbe col quale erano stati trattati da Adriano. Perciocché da Eusebio Panfìlio nella istoria si riferisce certa epistola di Adriano, nella quale gravemente sdegnato si mostra con coloro che i Cristiani molestavano o denunciavano…”
Dal momento che i Romani, spesso, usavano inserire nel loro “Pantheon” le divinità dei popoli da loro vinti, Tertulliano, nell’Apologetico, riferisce che l’Imperatore Tiberio avrebbe proposto al Senato di Roma di riconoscere Gesù come Dio; tuttavia la proposta venne bocciata. Secondo Tertulliano questo fatto fu la base giuridica per le successive persecuzioni contro la Chiesa di Cristo. Leggiamo quanto riportato nei suoi scritti: “Dunque Tiberio, al tempo del quale il Cristianesimo entrò nel mondo, i fatti annunziatigli dalla Siria Palestina, che colà la verità avevano rivelato della Divinità stessa, sottomise al parere del senato, votando egli per primo favorevolmente. Il senato, poiché quei fatti non aveva esso approvati, li rigettò. Cesare restò del suo parere, pericolo minacciando agli accusatori dei Cristiani.”
L’Imperatore Adriano, rispondendo ad una lettera di Quinto Licinio Silvano Graniano, Proconsole della Provincia d’Asia, in cui si chiedeva come avrebbe dovuto comportarsi nei confronti dei cristiani su cui pendevano accuse anonime, scrisse, come riportato da Eusebio di Cesarea nella “Storia Ecclesiastica”: “Se pertanto i provinciali sono in grado di sostenere chiaramente questa petizione contro i Cristiani, in modo che possano anche replicare in tribunale, ricorrano solo a questa procedura, e non ad opinioni o clamori. È infatti assai più opportuno che tu istituisca un processo, se qualcuno vuole formalizzare un'accusa. Allora, se qualcuno li accusa e dimostra che essi stanno agendo contro le leggi, decidi secondo la gravità del reato; ma, per Ercole, se qualcuno sporge denuncia per calunnia, stabiliscine la gravità e abbi cura di punirlo.”
Amicizia con Gesù
Gesù Cristo è il nostro migliore Amico. Ma come esserne sicuri? Un giorno, tanto tempo fa, Sant’Antonio Abate chiese a Dio perché alcuni uomini sono ricchi, altri poveri, perché alcuni muoiono giovani, altri vecchissimi e perché degli empi sono ricchi e dei giusti sono poveri. E giunse a lui una voce che disse: “Antonio, bada a te stesso. Sono giudizi di Dio questi: non ti giova conoscerli.”
Innanzitutto occorre credere in Dio, nel Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Credere nel Dio Vivente. Perché il nostro Dio è l’unico vero Dio? Come riportato nel Vangelo, Gesù dice alla donna Samaritana: “La salvezza viene dai Giudei”; se noi crediamo in Gesù Cristo, crediamo anche in quanto ha affermato e continua tuttora ad affermare. Perché Gesù è il nostro migliore Amico? Si possono dare tante risposte a questa domanda: perché il Padre ci ha creati per mezzo di Lui; perché è vero Dio e vero Uomo, e quindi perfettissimo; perché è morto in Croce per la nostra salvezza eterna, dopo atroci patimenti e umiliazioni; perché ci ama tantissimo; perché è sempre pronto a perdonarci. Tuttavia basterebbe solo questo, a farci capire quanto ci è Amico: Lui è sempre con noi. Sempre, anche quando noi siamo tanto lontani da Lui. Gesù è inoltre nostro Padre e nostra Madre. Proprio così.
O tu che leggi queste righe, prova a pregare Gesù dicendo: “Signore, ho saputo che mi ami tanto. Vieni a me, desidero conoscerTi, amarTi e ricevere il Tuo Amore.” Presto o tardi il Signore ti risponderà in qualche modo, ti darà un segno, qualcosa... Di solito in base al progetto che ha su di te (Dio ha un progetto su ciascuno di noi, nessuno escluso), in base alle tue condizioni personali... Sta a noi cogliere questi segni, anche piccoli...
Perché Gesù? Perché scegliere Gesù? In verità è Lui che sceglie noi, ma spetta anche a noi sceglierLo, cercarLo, invocare il Suo Nome Santo e Benedetto. Perché porre le nostre vite sotto la Sua Onnipotente Signoria? Perché, così facendo, Lui può intervenire liberamente. Provate a farlo, se non l’avete fatto. Se pregate Gesù, chiedendoGli di intervenire nelle vostre vite, Lui lo farà. Sicuramente. Magari non come vi aspettereste, ma lo farà senz’altro. Provate seriamente. Un padre è più sapiente del figlio ancora piccolo, e al figlioletto non sempre piace ciò che decide il padre per lui. Mi ricordo ancora un esempio fatto da un sacerdote: un bambino piccolo vuole giocherellare con un bel coltello luccicante, e il padre, naturalmente, glielo impedisce. Così anche noi, a volte, desideriamo qualcosa che può essere paragonato ad un coltello luccicante. Noi, ovviamente, non lo sappiamo, ma Gesù sì.
Voi tutti sapete cosa significano le espressioni “il migliore amico” e “l’amico del cuore”. Ebbene, chi è il nostro miglior amico? È Gesù! Gesù è più vivo di noi! A volte siamo dei morti ambulanti, ma non è così per Gesù. Lui è il Vivente, il Primogenito di coloro che risuscitano dai morti. Gesù è veramente il nostro unico vero amico, l’amico del cuore. Egli è l’Amico che non ci tradirà mai, che non ci abbandonerà mai, che non si stancherà mai di noi. Provare per credere. Nei momenti peggiori delle nostre vite, l’Unico che si ricorda veramente di noi è Gesù! Con Dio Padre, lo Spirito Santo e Maria Santissima, naturalmente; Ella, pur essendo una creatura come noi, è stata eletta da Dio “piena di grazia” e, sempre per grazia, preservata dal peccato e dal male. È proprio così. Provate a dire a Gesù: “Sei Tu il mio migliore amico, l’unico vero amico che ho”. Solo Lui sa amarci d’un Amore infinito. E anche quando sbagliamo, affidiamoci a Lui, e chiediamoGli perdono. Chi mai, fra gli uomini, anche fra i più Santi, è disposto ad ascoltarci ventiquattr’ore su ventiquattro?
Lui bussa sempre alla nostra porta, in particolare alle porte del cuore e della mente. Sta a noi aprirGli. Ricordiamoci cosa disse Papa Giovanni Paolo II all’inizio del suo pontificato: “Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Non abbiate paura! Lui sa cosa c’è nell’uomo, solo Lui lo sa.”
Occorre prendere una decisione: porre la propria vita sotto la Signoria di Gesù Cristo. Non dimentichiamo, infatti, che Gesù è il Signore! Gesù, dopo essere risuscitato dai morti, disse: “Mi è stato dato ogni potere in Cielo e in Terra”. Se Gesù, dunque, già prima Onnipotente, dall’eternità, perché Figlio Unigenito del Padre, dice ancora oggi a noi questo, occorre darGli ascolto. Gesù è Onnipotente, Lui sa come e quando intervenire. In realtà interviene sempre, anche se noi non ce ne accorgiamo. Egli stesso, infatti, afferma, come sopraddetto: “Senza di me non potete fare nulla”. Perché dunque scegliere Gesù? Perché Egli è Dio, l’Unico Dio, con il Padre e lo Spirito Santo. Perché Egli può tutto. Perché è per mezzo di Lui che possiamo tornare al Padre, che ci ha creati. Perché Lui è morto per noi. Vi pare poco? Ma è proprio così! Perché Lui è il Maestro, l’Unico Maestro, con il Padre e lo Spirito Santo. Lode e gloria a te, Signore Gesù! Tu Sei l’immortale Re dei secoli e delle genti.
Il Cristianesimo non è solo una dottrina, ma è Gesù stesso. Egli infatti dice: “Io Sono la Via, la Verità e la Vita”. Non dimentichiamolo mai. È Lui la Porta. Chi passa attraverso di Lui, ci dice la Scrittura, potrà entrare, e uscire, e troverà pascolo.
L'esistenza di Dio può essere dimostrata?
Sulla Terra non esiste alcun popolo che sia ateo [a meno che non lo si obblighi con la forza, e comunque anche quando questo accade rimangono dei credenti - N.d.C.], cioè che non ammette l'esistenza della divinità; i popoli sono discordi nel determinarne la natura e gli attributi, ed anche circa la maniera di onorare tale divinità, ma tutti ammettono che vi è un Ente supremo, o che vi sono più Enti supremi, da cui dipende il governo del mondo. La credenza nella divinità è dunque universale e pertanto, nel mondo, esistono degli individui atei, ma non dei popoli.
Il consenso dell'umanità nei riguardi del problema di Dio si deve considerare universale, non soltanto nello spazio, ma anche nel tempo, giacché l'uomo deve aver posseduto il concetto della divinità in tutti gli stadi della sua civilizzazione; ciò è dimostrato dal fatto che si trovano sulla Terra dei popoli che si trovano in diverse fasi di civiltà e, presso tutti questi popoli, troviamo il concetto dell'esistenza della divinità. Orbene, questo consenso di tutto il genere umano è ritenuto dai teologi una delle prove che dimostrano l'esistenza di Dio, giacché esso parte dal fondo stesso della natura umana, e la natura non inganna; tale era anche l'opinione di Sant'Agostino. A quest'affermazione, si può facilmente obiettare che la natura, con le sue apparenze, può ingannare, e difatti ha ingannato per secoli e millenni l'umanità, facendo credere che la Terra sia immobile nello spazio, ed il Sole ed i pianeti ruotino intorno ad essa. Ma quest'obiezione, in realtà, non regge, poiché nel caso del concetto dell'esistenza di Dio non abbiamo alcuna apparenza, che potrebbe trarci in inganno, dato che dalla Divinità non riceviamo alcuna sensazione, come l'abbiamo della Terra, del Sole e dei pianeti. Comunque, la prova dell'esistenza di Dio, costituita dal consenso universale dell'umanità, non è una prova che possa dirsi razionale, cioè derivante dalla ragione, e pertanto si può mettere da parte. Un'altra prova teologica dell'esistenza di Dio è costituita dalla Rivelazione, ma anche questa è estranea alla razionalità, e di conseguenza si può mettere anch'essa da parte [posto che, comunque, la Rivelazione è essenziale per conoscere Dio - N.d.C.]
Veniamo ora ad esaminare se l'esistenza di Dio può essere provata scientificamente. Prima di tutto, dobbiamo metterci d'accordo sul significato dell'avverbio scientificamente, ed a questo proposito mi piace riportare quanto ne scrive il Petazzi: "Se scientificamente viene inteso nel senso moderno, cioè empiricamente, è impossibile provare l'esistenza di Dio. Sarebbe necessario che Dio fosse un corpo. Così Dio non si vedrà mai con alcun cannocchiale, come l'anima sotto alcun bisturi. Ma, in questo modo, nessun diritto o dovere si potrà dimostrare scientificamente, quindi lo studio delle leggi non sarebbe scienza. Nessun avvocato, nessun giurista, sarebbe scienziato. L'unica dimostrazione di un diritto sarebbe quella data dai pugni. Se scientificamente viene inteso in senso matematico, ancora Dio non si può dimostrare matematicamente; per questo sarebbe necessario che fosse un numero o una figura. Dio non si potrà mai trovare al termine di alcun calcolo infinitesimale, né al vertice di alcun teorema di Euclide. Ma, se scientificamente s'intende razionalmente, Dio si dimostra nel modo più scientifico, e con evidenza incomparabilmente superiore ad ogni evidenza fisica e matematica."
L'esistenza di Dio può essere, dunque, dimostrata con prove scientifiche, che scaturiscono dalla ragione, vale a dire che derivano da un ragionamento. Tale ragionamento viene chiamato dai filosofi e dai teologi col nome di ragionamento metafisico, per cui le prove razionali dell'esistenza di Dio vengono dette prove metafisiche. La parola "metafisica" è molto familiare ai filosofi, i quali ne conoscono pienamente il significato, ma non lo è altrettanto alle persone di media cultura. Nei vocabolari della lingua italiana, alla voce "metafisica", troviamo scritto il significato di "dottrina delle ultime e supreme ragioni delle cose; parte più alta ed astratta della filosofia, che si riferisce al soprasensibile"; ma troviamo anche registrato che "metafisica" è sinonimo di "astruseria", di "sottigliezza". Ciò dimostra che, con l'andare dei secoli, il significato della parola "metafisica" ha subito una notevole trasformazione, della quale giova parlare brevemente, affinché il lettore possa poi comprendere con chiarezza il valore dei ragionamenti metafisici. Il sostantivo "metafisica" deriva da una singolare combinazione bibliografica, dovuta ad Andronico di Rodi, il quale, nel primo secolo avanti Cristo, curò un'edizione degli scritti di Aristotele; egli propose la trattazione dei problemi più universali della filosofia a quella dei problemi che si riferiscono agli aspetti ed alle leggi della natura fisica; orbene, siccome questa trattazione aristotelica prese il nome di "fisica", l'altra fu chiamata Metafisica, il cui prefisso "meta" aveva il significato del materiale susseguirsi di un gruppo di scritti ad un altro, senza alcuna allusione al reciproco rapporto di valore del loro contenuto.
Il carattere di superiorità e di trascendenza, che è proprio delle realtà studiate dalla Metafisica, diede origine alla nuova interpretazione linguistica e si affermò soprattutto nel medioevo: al plurale troviamo applicata la parola "metaphysica" in Boezio, ed al singolare nella versione aristotelica di Averroé. Il nuovo valore etimologico che viene dato a questa parola risulta evidente dal termine di "transphysica", che la filosofia scolastica adopera come sinonimo di "metaphysica", ed è per questo mutato senso linguistico che modernamente si usa il prefisso "meta", in alcune scienze speculative. La loro sfera d'indagine si estende al di là del campo delle scienze, il cui corrispondente nome non possiede tale prefisso: così la metaphysica è la scienza che studia le realtà psichiche più profonde di quelle indagate dalla psicologia; la metastorica è la scienza che studia le leggi trascendenti, cui sono subordinati i fatti descritti dalla storia, etc.
Dal libro "Esiste Dio?" di Alfredo Mazzei
Gesù desidera che vegliamo con Lui e con ogni creatura che soffre
"La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate" Marco 14, 34
Il dramma del Getsemani ha sempre esercitato sui santi una profonda attrazione: essi non potevano distaccarsi da questa contemplazione. Per poco che tu ami Cristo, non puoi restare insensibile al pensiero di quella notte, nella quale Egli sudava d'angoscia all'idea di quanto stava per accadere. Tanto più che col tuo peccato sei implicato nell'agonia e nella morte di Gesù; è per causa tua e di tutti i tuoi fratelli che la Sua Anima ha conosciuto l'angoscia e la tristezza fino a morirne. Tanto più comprenderai questa agonia se hai vissuto spesso qualche cosa del genere. Nei momenti di prova, nei quali soffri e piangi, tu desideri la presenza dei tuoi amici. Sì, Gesù ha sperimentato nell'agonia la spaventosa solitudine dell'amore misconosciuto.
Lascia risuonare profondamente in te le parole che Egli rivolge a varie riprese agli Apostoli entrando nel Getsemani: "Restate qui e vegliate". È una chiamata a restare a lungo con Gesù, fissando lo sguardo silenzioso su di Lui, quale ti appare in questa scena, come dice Paolo nella Lettera agli Ebrei: "tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede" (12, 2). Ma proprio nel momento in cui tu vorresti pregare, ne provi quasi una impossibilità: come gli Apostoli, amici di Gesù, sei schiacciato dalla stanchezza e cadi nel sonno.
Non si tratta solo di una stanchezza fisica, di una impossibilità a fissare l'attenzione, cosa molto normale se hai pregato a lungo: la difficoltà a pregare non viene solo dalla tua spossatezza, essa è più profonda e prende radice nel tuo innato egoismo. Penso che sia normale provare un profondo malessere davanti all'agonia; come dice il padre Loew, è un campo nel quale non puoi penetrare: "Sedetevi qui, dice Gesù, mentre Io vado là a pregare" (Matteo, 26, 36). "Tra questo 'qui', nel quale tu vuoi restare per pregare, e questo 'là', dove si reca Gesù, vi è un abisso insondabile, incommensurabile". (J. Loew).
Tu comprendi dunque perché provi difficoltà a pregare, perché non riesci a superare questo abisso. E tuttavia sei chiamato a contemplare Gesù nel Suo smarrimento e nella Sua angoscia. Cercheremo di avvicinarci in seguito a questa scena, ma tu resterai sempre sulla soglia, perché non vi è condivisione possibile. La causa del tuo malessere è nel fatto che tu scopri la durezza del tuo cuore di peccatore. Sei ridotto all'impotenza dal sonno, poiché sei debole, appesantito e addormentato nel tuo peccato. Assomigli agli Apostoli che dormono, anch'essi, del sonno dell'incoscienza. Ma di fronte a te vi è il Cristo, il grande vivente, che entra completamente sveglio nel mistero della Sua morte. In fondo, tu soffri di amare così poco Gesù, che ti ha manifestato un amore infinito. Nella Sua agonia è solo, mentre sente il desiderio di avere vicino una presenza amica e confortante.
Sappi tuttavia che la tua sofferenza è buona, perché ti situa nella verità del tuo essere: essa è un grido d'invocazione allo Spirito Santo perché ti faccia un giorno gustare il mistero. Allora sarai ricompensato dei tuoi anni di aridità davanti alla Passione. Ti è richiesto soltanto di restare là in un profondo silenzio per essere e rimanere con Gesù e per Lui. Nell'agonia vi è un mistero che non puoi condividere né comprendere: lo puoi appena supporre. È per questo che devi perseverare a vegliare in preghiera.
Non cercare di comprendere l'angoscia e la tristezza di Gesù: essa è quella del Verbo incarnato, del Servo sofferente, dell'Agnello sopraffatto dal peccato del mondo. Rimani semplicemente vicino a Lui, vigilante nella fede e nell'amore. Quando incontri un amico che soffre, tu non cominci a fare dei lunghi discorsi, per cercare di spiegargli il senso della sua sofferenza, ma stai lì, vicino a lui, in silenzio, tentando di condividere nell'amore quello che egli sta vivendo.
Fa' lo stesso nel giardino del Getsemani. Esci da te stesso e dalle tue preoccupazioni per pensare solo al Cristo e alla Sua tristezza. Una tale preghiera gratuita, spoglia e disinteressata, rende autentica la scelta che hai fatto di seguirLo. È una preghiera difficile, perché richiede un silenzio profondo e una grande unità di atmosfera. Cristo solo deve occupare tutto il campo visivo della tua coscienza. Allora rileggi attentamente la scena lasciando cadere ogni frase e ogni parola nel tuo cuore lungo tutta la giornata. Se accetti di resistere a lungo in questa preghiera, Cristo ti investirà della Sua Presenza e il Suo Volto addolorato e radioso eserciterà su di te un'attrattiva capace di strapparti alla miseria del tuo peccato.
Dal libro "Prega il Padre tuo nel segreto" di Jean Lafrance
In Gesù Cristo morto e risorto, la tua vita assume un valore eterno
Integrata nel corpo di Cristo morto e risuscitato, la tua vita assume un valore eterno. Gesù non è solo Colui che t'insegna la via della salvezza, Egli è anche Colui che la compie e la realizza nella Sua Pasqua. Dirà Lui Stesso che Egli è la Via, la Verità e la Vita. Tuo compito non è solo di seguirLo portando la tua croce, ossia realizzando la volontà precisa di Dio su di te, ma di lasciarGli rivivere in te la Sua vita. Tutte le decisioni che puoi prendere per la tua vita di cristiano prendono il loro senso e il loro valore nella vita del Cristo. Egli è il primo ad avere fatto della Sua vita un'offerta al Padre. È per questo che tu devi contemplarLo a lungo nel Suo mistero pasquale, affinché t'infonda la Sua vita divina con il dono del Suo corpo glorificato.
Dal libro "Prega il Padre tuo nel segreto" di Jean Lafrance
Il Signore Gesù ha usato ed usa tuttora molti modi per farci partecipi della Sua vita. Innanzitutto possiamo conoscerLo dal punto di vista dei Vangeli, ossia leggendo e cercando di mettere in pratica quanto Egli disse, fece ed insegnò. A livello visibile, inoltre, non abbiamo cose più preziose nell'universo che il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo. Possiamo letteralmente cibarci di Lui, con il Suo Corpo che diventa anche il nostro corpo e il Suo Sangue che scorre anche nelle nostre vene. Naturalmente è soprattutto una questione di fede, ma di una fede coltivata. Inoltre, è bene sottolineare che a questo proposito, sparsi nei secoli, ci sono stati dei veri e propri "miracoli eucaristici". In pratica, ci sono state diverse situazioni in cui l'Ostia consacrata dal Sacerdote è divenuta Carne ed il Vino consacrato è divenuto Sangue. Si tratta di eventi realmente accaduti e documentati, e chi volesse approfondire la questione potrebbe, ad esempio, fare una ricerca in Internet digitando in un motore di ricerca "miracoli eucaristici". A volte, in queste occasioni, il Signore non ha semplicemente fatto un miracolo, ma ha anche dato un particolare valore a situazioni spesso piuttosto oscure. Ad esempio, il più noto miracolo eucaristico avvenuto a Torino (per il quale è stata poi eretta la Chiesa del Corpus Domini) fece seguito ad un... furto di un ostensorio con l'Ostia consacrata al suo interno. In un'altra occasione e in un altro luogo, una donna rubò un'Ostia consacrata (ostia significa "vittima") per far eseguire... un rito magico a una "fattucchiera". Tuttavia, non lo fece poiché avvenne il miracolo, che ovviamente la dissuase totalmente da tali pratiche. Il Signore Gesù, come si è detto, utilizza molte maniere per farci partecipi della Sua vita, ma è soprattutto con la Sua azione in noi che Egli "compie" le nostre vite, soprattutto quando Gli permettiamo di agire. In questo modo, se anche moriamo, è con Lui che moriamo, ed è con Lui che risorgeremo. Non si tratta di "frasi fatte", dette e ridette perché così è, punto e basta, ma di un processo veramente divino, del quale però ogni cristiano è tenuto a vivere qualcosa, almeno rendendosene un po' conto.
Non s'intende affermare in questa sede che dobbiamo credere solo perché ci sono i miracoli, ma anch'essi hanno la loro importanza. Non per niente, anche se in un altro contesto, il Signore afferma nel Vangelo: "Se non credete alle Mie Parole, credete almeno alle opere che Io compio." Incredibilmente, coloro che lo fecere uccidere... credevano ai Suoi miracoli, ma ritenendolo "scomodo" lo fecero eliminare. Una storia che da sempre si ripete, fin da quando Caino uccise Abele per invidia. Anche Ponzio Pilato sapeva bene che "Glielo avevano consegnato per invidia". Il Figlio di Dio si fa "consegnare" ai pagani occupanti la Terra Santa per "invidia", si fa picchiare, si fa schernire, si fa flagellare, si fa sputare addosso, si fa coronare di spine, si fa inchiodare ad una Croce per... morire e poi risorgere per la salvezza eterna di tutti. Effettivamente, la nostra fede è uno "scandalo" per i Giudei (che conoscevano il Dio di Abramo) ed una "stoltezza" per i Greci (ossia tutti gli altri), come disse e scrisse San Paolo Apostolo. I Greci o Gentili, infatti, non si sarebbero mai sognati un Dio simile, ma così è stato, così è, e così sarà, per sempre.
Perché in Cristo morto e risorto le nostre vite assumono un valore eterno? Perché se Dio permise la caduta del primo uomo, Adamo, e quindi di tutta la sua stirpe, volle invece che il Suo Figlio Unigenito, incarnandosi in un corpo umano, risollevasse l'umanità intera. Si tratta di un mistero, ma che non è un qualcosa di "assurdo"; anzi, è quasi "logico", pur essendo in gran parte incomprensibile alla nostra natura umana. Come il figlio del "Signor Rossi" mantiene il cognome paterno sia che si comporti bene, sia che si comporti male, così il nostro essere figli di Dio non viene mai meno, e se il Figlio Unigenito, nostro fratello divino, fa qualcosa, anche noi ne viviamo le conseguenze. Dio è veramente Onnipotente, ma pare che a volte si "sottometta" a delle particolari "leggi spirituali" di cui ne conosciamo solo alcune, ma certamente non tutte. Naturalmente, se necessario, Dio può far qualsiasi cosa. Inoltre, non è da sottovalutare l'azione dello spirito del male, ossia di Satana (l'Accusatore) che, non potendo accusare Dio di alcunché, cerca di accusare i Suoi figli e le Sue figlie. Noi dobbiamo certamente cercare di comportarci bene ed amare Dio e il prossimo, ma la nostra vera giustificazione è nel Sangue di Cristo, che ha pienamente soddisfatto il Padre e zittito per sempre il Maligno.
Dio Padre deve aver veramente sofferto tanto con il Cristo, ma la Sua ricompensa non viene mai meno: Egli innalzò Gesù al di sopra di tutto e di tutti, facendoLo sedere alla Sua destra e dandoGli "ogni potere in Cielo e in Terra", come Gesù stesso afferma nel Vangelo. È per questi motivi e molti altri che in Cristo le nostre vite assumono un valore eterno, non solo perché le nostre anime sono immortali, dal momento che siamo fatti "a immagine e somiglianza di Dio", ma innanzitutto perché il Signore stesso ci ha veramente redenti. Il Signore ama tutte le Sue creature, compresi gli animali che, pur se sottomessi all'uomo, sono certamente più innocenti di noi. Non per niente Dio fece salvare da Noè i nostri "fratelli più piccoli", conducendoli nell'Arca. L'Arca servì per la salvezza dei corpi delle creature, ma la Croce di Cristo è il ponte che ha permesso all'uomo e alla donna decaduti, di ogni epoca, di poter nuovamente vivere nella piena amicizia, figliolanza e grazia del Padre, il quale ci ha amati anche "quando eravamo peccatori".
Esiste Dio?
Molti teologi, filosofi e pensatori, nel corso dei secoli, hanno cercato di dare una risposta a questa domanda. Alcuni di loro hanno persino definito delle vere e proprie “prove” dell’esistenza di Dio, basti ricordare San Tommaso D’Aquino. Tuttavia in questa sede non verranno riportate. Mi limiterò a fornire degli spunti di riflessione.
Naturalmente convincere un ateo dichiarato è un’impresa non certo facile, tuttavia è possibile riflettere insieme sulla possibilità (in realtà è un fatto) che Dio esista. Inoltre, i "veri atei" sono piuttosto pochi, anche se moltissime persone (credenti comprese) solitamente si comportano più o meno come se Dio non esistesse. Ad ogni modo, qualcuno potrebbe dirmi: “Ma tu parti dalla posizione del credente”. È infatti ovvio che sono un credente. Prendiamo, ad esempio, la nota immagine di “Gesù Buon Pastore”. Spesso, infatti, il Signore paragona se stesso al Buon Pastore. Dice infatti Gesù che il Buon Pastore dà la vita per le sue pecore, mentre il mercenario, quando vede arrivare il lupo, fugge, abbandonando così le pecore. In questo momento non so con esattezza perché mi sia venuta in mente questa immagine in riferimento all'esistenza di Dio, ma penso che sia giusta.
Torniamo ora all’argomento: esiste Dio? Proviamo un po’ a fare un semplice ragionamento. Immaginiamo che l’umanità intera scompaia, che il pianeta Terra scompaia, che il nostro sistema solare scompaia, che la nostra Galassia scompaia, che l’intero Universo scompaia... Ora, immaginando che tutto sparisca: cosa rimane? Cosa rimane, mi chiedo? Ebbene, qualcuno o qualcosa devono pur esserci… Questo “Qualcuno”, naturalmente, è Dio. Il nulla assoluto è impossibile. Ricordiamo come Dio in Persona si presentò a Mosè: “Io Sono Colui che Sono”. L’Esistenza Eterna ed Assoluta, insomma. Non è tanto una questione di "cosa" rimane, ma di "Chi" rimane e che, anzi, deve esistere già prima di tutto. È lo Spirito, l'Essere, senza il Quale nulla esiste e nulla può essere percepito, anche da noi creature. Tuttavia occorre aver fede. Gesù stesso infatti disse: “Quando il Figlio dell’Uomo tornerà sulla Terra, troverà ancora fede?” Ma fede in Chi? Chi è Dio, ammesso che Egli esista? Dio è il Dio d’Israele, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Come possiamo esserne sicuri? Anche in questo caso le Sacre Scritture vengono in nostro aiuto. Gesù disse alla donna Samaritana, che si chiamava Dina: “La Salvezza viene dai Giudei”. È quindi nell’alveo della Rivelazione che si deve cercare Dio. Qualcuno potrebbe obiettare: “Ma allora come mai esistono tante religioni?”. Lo sapeva bene anche Gesù, per questo disse: “La Salvezza viene dai Giudei”, per chiarirci le idee, per aiutare le nostre piccole ed imperfette menti. Anche prima che Dio si rivelasse ad Abramo, offrendogli un patto d’eterna alleanza, esistevano popoli pagani. Tuttavia solo ad Abramo il Signore in Persona fece udire la Sua Voce. Questo non significa che le persone appartenenti ad altre Religioni non possano entrare in contatto con Dio. Non è Lui che ha bisogno di noi, siamo noi che abbiamo bisogno di Lui. Inoltre, riguardo alla Sua esistenza, è sufficiente osservare la meraviglia del creato per pensare ad un Creatore; in questo caso è impossibile che milioni, miliardi di uomini, donne e bambini... ebbene, si siano sbagliati.
Santità
San Giovanni Bosco
Un giorno San Giovanni Bosco, noto Santo piemontese “dei giovani”, la cui vita ebbe pieno quanto santamente fiorente sviluppo a Torino, fondatore dei Salesiani, disse che chi non giunge alla Santità ha fallito la propria vita. Senza dubbio si tratta di un’espressione forte, ma vediamo il seguito. San Domenico Savio, giovane seguace di Don Bosco, lo prese in parola. Cominciò quindi ad intensificare la preghiera, nonché a sottoporsi a varie pratiche ascetiche, fra cui il digiuno ed una particolare forma di penitenza che si era auto-imposto, cioè dormire, anche d’inverno, solo con una leggera copertina. Un giorno San Domenico Savio si recò a colloquio da San Giovanni Bosco. Don Bosco lo vide pallido ed emaciato, e gli domandò come mai fosse ridotto in quello stato. Domenico gli spiegò tutto. Allora San Giovanni Bosco gli spiegò che la vera Santità consiste nel fare diligentemente il proprio dovere, nelle condizioni in cui uno si trova o, meglio, nelle condizioni di vita in cui Dio lo ha posto.
Senza dubbio occorre fare tesoro delle parole di Don Bosco, tuttavia occorre sapere che ci sono molte vie che portano alla Santità, e Dio ne è l’Artefice e Maestro. Cosa significa la parola “Santo”? Letteralmente significa “separato”, in particolare “separato dal male”. È dunque in quest’ottica che va vista la Santità: cercare di giungere all’unione con Dio che, come ci dice Gesù, è “Il Solo Buono”, vivendo il più possibile separati dal male. Dal male che è in noi e fuori di noi.
Nel corso dei secoli moltissimi uomini e donne hanno cercato di essere Santi, mediante diverse pratiche di vita, che avevano comunque lo stesso obiettivo. C’è chi si è dedicato all’ascesi, in monasteri o deserti. C’è chi ha dedicato la propria vita all’aiuto fraterno del prossimo: chi curando i malati, chi aiutando i carcerati, chi facendosi missionario, partendo così per terre vicine o lontane a predicare il Vangelo, la Buona Novella. Sforziamoci innanzitutto di ubbidire ai massimi comandamenti dell’Amore, che è Dio stesso: 1) Amare Dio al di sopra di tutto, con tutte le nostre forze, con tutta la nostra anima, con tutto il nostro cuore e con tutta la nostra mente. 2) Amare il prossimo come noi stessi, senza distinzioni, anche se a volte è difficile.
Tuttavia, per diventare Santi, occorre innanzitutto l’Aiuto di Dio. Senza il Suo aiuto nessuno può santificare la propria esistenza terrena. Nessuno. ChiedamoglieLo dunque umilmente, in preghiera. Il Suo potente sostegno non ci mancherà! Santi ed eroi hanno molte cose in comune, ma non occorre essere dei “Superman”. Andrew Bernstein affermò: “Un eroe ha affrontato tutto: non è necessario che sia imbattuto, ma dev’essere intrepido.” Tutto ciò è assolutamente vero, tuttavia occorre tenere ben presente che il coraggio senza prudenza può rivelarsi spesso temerario quanto stolto. In un articolo di Renato Balducci, apparso il 17 gennaio 2013 sul sito web de “La Stampa”, viene riportata la storia di malattia e morte di un pastore di 68 anni, che viveva sulle montagne dell’Ossola (Italia). Il pastore, Walter Bevilacqua, soffriva da tempo d’insufficienza renale; è spirato durante una consueta dialisi, a cui si sottoponeva ogni settimana all’ospedale San Biagio di Domodossola. Un po’ di tempo prima, aveva confessato al parroco del paese, durante una chiacchierata, le seguenti parole: “Sono solo, non ho famiglia. Lascio il mio posto a chi ha più bisogno di me. A chi ha figli e ha più diritto di vivere.” Secondo questa linea di pensiero ha poi rifiutato un trapianto renale, che lo avrebbe aiutato a vivere ancora un po’. La sorella Iside, mentre accompagnava il feretro del fratello al cimitero, ha commentato: “Era proprio come lo descrivono: altruista, semplice. Un gran lavoratore. Sapeva che un trapianto lo avrebbe aiutato a tirare avanti, ma si sentiva in un’età nella quale poteva farne a meno. E pensava che quel rene, frutto di una donazione, servisse più ad altri.” Se tutto ciò non è espressione di “santità”, non so cosa possa essere. Una decisione chiara, anche se probabilmente sofferta, presa da un uomo semplice, amante degli animali e dell’agricoltura, dal cuore generoso ed impavido.
Tutto ciò, se epurato da possibili ma altamente improbabili pensieri suicidi, ricorda quanto Gesù afferma in Giovanni 15, 13: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” Tuttavia non va assolutamente trascurato il seguito (Giovanni 15, 14-17): “Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.”
L'Amore di Dio per te s'incarna in Gesù Cristo
Dio non si è accontentato di dire che ti amava: un giorno, nel tempo, Egli è divenuto uomo: un essere come te, di carne, di coscienza e di sangue. Non hai bisogno di aver fatto degli studi superiori, per capire che cosa sia un uomo. Basta sentirti vivere, amare e piangere. Un uomo nasce, vive e passa sulla Terra, ed è Dio: Gesù di Nazaret, Figlio di Maria, Figlio di Dio. Se hai qualche esperienza del Dio tre volte Santo, non puoi non essere meravigliato, stupefatto, sbalordito davanti al mistero di Gesù.
È un Essere totalmente Dio, senza alcuna riserva, e senza alcuna sfumatura. È un Essere totalmente uomo, senza alcuna riserva e senza alcuna diminuizione della sua umanità: "non è solo un uomo che nasce a Betlemme, che lavora a Nazaret, che parla alle folle in Palestina, che grida di paura al Getsemani, che muore a Gerusalemme: è Dio che nasce, lavora, parla, soffre e muore." (J. P. Deconchy) Gesù realizza il collegamento tra Dio e l'uomo e tra l'uomo e Dio. E per fare questo gli basta di essere, non ha altro da fare. È veramente l'Amore di Dio per te che prende corpo in Gesù Cristo. Accogli nel tuo cuore il Verbo incarnato e scruta senza stancarti il mistero della sua Persona. Domandagli spesso di immergerti nel Cuore di Dio e nel cuore dell'uomo. Quando ti avvicini a Gesù Cristo con la fede, scopri la vera dimensione del tuo essere di uomo divenuto dimora di Dio.
Dal libro "Prega il Padre tuo nel segreto" di Jean Lafrance
Ora, noi tutti sappiamo che esistono molte religioni, e che qualcosa di vero è contenuto in ciascuna di esse. Tutte, infatti, pur ciascuna con i propri limiti, cerca di rispondere alle domande fondamentali dell'esistenza, soprattutto in vista di una realtà superiore ed invisibile, che spesso viene definita "ultraterrena", ossia che supera questo mondo, in qualità, quantità, dimensione, bontà, amore, misericordia, giustizia, potenza, compassione, sapienza, intelligenza, etc. La maggior parte delle religioni crede nell'esistenza di un "dio" o di più "dei". Tipicamente, si parla di religioni monoteistiche: Ebraismo, Cristianesimo e Islam, e di religioni "politeistiche". Nel corso dei millenni, alcune di queste religioni o credenze hanno subito dei mutamenti, o sono scomparse, oppure sono apparse in qualche luogo del pianeta.
Solitamente, una religione ha un "fondatore", conosciuto o meno. Alcune religioni, infatti, non hanno un "iniziatore ufficiale", come le fedi degli Indiani d'America, ad esempio, che credono nel Grande Spirito. Tutti noi, chi più chi meno, abbiamo sentito parlare di Gesù, di Abramo, di Mosè, di Maometto, di Buddha, di Zoroastro, etc. Tuttavia, la differenza principale fra il Cristianesimo e tutte le altre religioni, è che il nostro fondatore non è solo un uomo, per quanto santo, evoluto ed illuminato, ma Dio Stesso che si è incarnato in un corpo umano, in un momento storico ben preciso ed in un luogo geografico altrettanto definito e conosciuto. Si tratta essenzialmente di un dato di fede, ma anche "di fatto", per chi crede. Nelle varie sfaccettature della religione Induista vi è la presenza dei cosiddetti "Avatar" (che non hanno a che fare con il noto film o con le figurine che si usano in rete per individuare le persone, anche se c'è un collegamento di significato). Questi "Avatar" sono delle "incarnazioni di una qualche manifestazione della divinità", come lo yoga, la sapienza, l'azione, la potenza, etc. Però nessuno di questi grandi personaggi è mai stato ritenuto Dio Onnipotente ed Eterno in Terra. Noi cristiani, invece, crediamo fermamente che Gesù Cristo è vero Dio e vero Uomo, e che Egli è il Figlio di Dio. Ora, a tutte le possibili negazioni di questo, possiamo rispondere: se Dio è Onnipotente, perché mai non potrebbe essere in grado di generare un Figlio e di farlo nascere da una donna umana, Maria Santissima, senza bisogno di un padre umano?
A volte rischiamo di "sottovalutare" la potenza di Dio. Forse perché non sempre ci rendiamo conto della Sua Presenza in mezzo a noi, forse perché alcuni di noi scuotono la testa rassegnati di fronte al dilagare del male nel mondo... o per mille altri motivi. Eppure tutte e tre le religioni monoteistiche o "abramitiche", di cui sopra, dichiarano fermamente che Dio è Onnipotente. In pratica, la maggior parte delle persone che crede in Dio, crede anche che Egli sia Onnipotente, ma... a volte sembra che esse non manifestino veramente questa convinzione o pensiero, almeno a parole... figuriamoci con i fatti! Eppure è così, almeno per quasi tutte le "teologie" e, soprattutto, per la teologia cristiana, tanto che noi cristiani non solo crediamo che Dio sia Onnipotente e che abbia un Figlio uguale a Lui, ma che l'Altissimo sia la Santissima Trinità: il Padre Creatore, il Figlio Unigenito e lo Spirito Santo Amore che procede dal Padre e dal Figlio e fonde le due vite divine e tutte le creature nell'Amore di Dio. Dio è Uno e Trino, Dio è una famiglia di Esseri Divini. Tutto ciò è sbalorditivo, ma noi crediamo che sia così. Quindi, perché sottovalutare la Potenza di Dio? Come si è detto, il problema del male e del cosiddetto "mistero d'iniquità" è una delle ragioni che molti prendono in considerazione riguardo ai dubbi sull'esistenza di Dio.
Fin dall'antichità, alcune religioni, pagane a tutti gli effetti, consideravano comunque la vita come una "prova" (stiamo parlando, ad esempio, degli antichi Egizi). Anche noi cristiani usiamo spesso il termine "prova" per identificare quelle situazioni particolarmente difficili che tutti noi, prima o poi, dobbiamo attraversare. Anche in questo caso, però, il Cristianesimo si distingue in modo particolare: Dio non è un arbitro imparziale che aspetta che gli uomini e le donne "superino" le prove, anche se a volte pare che sia così, ma è Egli Stesso che si è fatto carico delle nostre sofferenze e dei nostri peccati... morendo appeso ad una Croce. Le "prove", però, rimangono. I peccati, infatti, sono l'unica cosa che può in qualche misura "allontanarci" da Dio, anche se Egli è in tutti e in tutto, da sempre e per sempre. Più che altro, siamo noi che rischiamo di allontanarci da Lui, e non Lui da noi. La forma di preghiera più alta e, al contempo, più semplice e necessaria, è di mettersi davanti a Dio in raccoglimento interiore e, se possibile, anche esteriore, aspettando il Suo Amore e donando a Lui il nostro, per quanto ne siamo capaci. Niente di più, ma anche niente di meno. Questo significa che, apparentemente, può essere semplice, ma che spesso non lo è... per mille motivi, ancora una volta, soprattutto di natura mentale. Tuttavia, l'importante è non rassegnarsi, l'importante è scommettere sempre di più su questo Dio così misterioso... ma Buono!
L'Amore del Signore Gesù Cristo!
La Sacra Bibbia ha come ultimo Libro L'Apocalisse o Rivelazione, che termina con le seguenti Parole, al Capitolo 22: "Colui che attesta queste cose dice: 'Sì, vengo presto!'. Amen. Vieni, Signore Gesù! La Grazie del Signore Gesù sia con tutti voi. Amen!" La vita in generale, ed in particolare quella degli esseri umani, è un qualcosa che ci è stato donato. Siamo infatti creature, nessuno di noi ha creato se stesso. La vita, semmai, ci è stata trasmessa, ovviamente dai nostri genitori e progenitori. In particolare, noi cristiani crediamo che non solo Dio ci ha creati, ma che "viene" continuamente in noi, ogni giorno, ma anche in momenti più o meno eccezionali e, soprattutto, al termine di questa vita terrena. Il Signore Gesù ci esorta continuamente non solo ad amare Lui, ossia il Figlio del Dio Vivente, con il Padre e lo Spirito Santo, ma anche i nostri fratelli e le nostre sorelle, indistintamente, comprese tutte le altre creature. "Tutto ciò che avete fatto ad uno dei Miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a Me." Se facciamo del bene al prossimo, lo facciamo anche a Dio, che abita in ogni creatura, e se facciamo del male al prossimo, purtroppo, lo facciamo anche al Signore della Vita.
Tutto ciò è un po' l'ABC del cristianesimo, che però non riguarda solo i cristiani, ma tutti gli uomini e tutte le donne. Eppure... anche chi è credente da molto tempo fa spesso fatica a mettere in pratica quanto detto. Questo avviene non solo per una certa dose di "cattiveria" che abbiamo un po' tutti, la cui origine è principalmente l'egoismo, ossia l'eccessivo egocentrismo, noncurante del prossimo, ma anche per una sorta di "distrazione" nel vivere la vita di ogni giorno. Il "ricco epulone" della nota parabola di Gesù, non è infatti definito dal Signore un "cattivo" ma, implicitamente, uno che pensa solo agli affari suoi, il quale non si rende conto che da molto tempo, proprio davanti a casa sua, c'è qualcuno in grave difficoltà... il povero Lazzaro. Come molti sanno, entrambi muoiono. Il ricco va all'Inferno ed il povero affamato e piagato va in Paradiso, consolato "nel seno di Abramo". Ora, ci sono moltissimi libri che si occupano di definire, in qualche modo, cosa siano l'Inferno e il Paradiso, per cui non ci soffermeremo a parlare di queste realtà, che certamente possono far paura, ma il succo di questa paradigmatica vicenda è che, se ne siamo in grado e ne abbiamo la possibilità, dobbiamo "vegliare" e "amare", ossia stare almeno un po' attenti a chi e cosa incontriamo nel corso delle nostre giornate. Questo include il fare delle scelte, prendere delle decisioni, dare e ricevere un po' di amore, cercare di capire le motivazioni profonde del nostro ed altrui agire, cercare di non giudicare, etc. Non si tratta di eseguire un programma chiamato "amore", altrimenti saremmo simili a dei robot, ma cercare di mettere in pratica la cosiddetta "regola d'oro", ossia quanto afferma il Signore Gesù in Matteo 7,12: "Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti." Come detto, non dobbiamo agire come dei robot o androidi o cyborg o macchine, etc. Infatti, a volte l'amore può manifestarsi anche in maniera apparentemente "dura". Per questo è importante avere una mente "flessibile", pur non rinunciando alle cose più importanti in cui si crede, pur non sacrificando i propri ideali migliori. In pratica, a volte è bene applicare il Vangelo alla lettera, a volte occorre capire come aiutare il prossimo in base alle circostanze. Ciò che non deve essere pervertito, però, è l'intenzione del cuore e della mente, che dev'essere il più possibile pura.
Tuttavia... è innanzitutto il Signore Gesù che "scende" o "viene" a noi per donarci il Suo Amore, come la Gerusalemme Celeste del suddetto Libro dell'Apocalisse, non costruita da mani d'uomo. Se questo non avvenisse, il nostro piccolo ma cocciuto "io" avrebbe quasi sempre la meglio: "mors tua vita mea". Solo il Dio Incarnato, il Dio e Uomo Gesù Cristo ha potuto donare Se Stesso ed amare incondizionatamente in maniera perfetta. Quando Dio mise alla prova Abramo, chiedendogli di sacrificare il giovane Isacco sul monte Moria, il figlio della Promessa lungamente atteso, fermò poi prontamente la mano del giusto e fedele servo prima che colpisse il ragazzo. Alcuni ritengono che questo monte, circa duemila anni dopo, fosse chiamato con il nome di... Golgota, ossia il "luogo del cranio" su cui venne crocifisso il Signore Gesù... e Dio Padre, questa volta, non risparmiò il Suo Unico Figlio. In entrambi i casi, abbiamo un momento drammatico e tragico seguito da una grande gioia e consolazione. Nel caso di Abramo e di suo figlio Isacco, Dio mostrò loro un ariete impigliato nei rovi, che servì come olocausto, mentre nel secondo... Dio risuscitò Gesù Cristo e lo glorificò per tutta l'eternità. In tutto ciò la parola fondamentale è "fede". Nel primo caso abbiamo una fede grande, ma umana, mentre nel secondo caso abbiamo la fede di Gesù nell'infinito Amore del Padre. Gesù sapeva che il Padre Suo e Padre nostro l'avrebbe risuscitato da morti, ma non per questo anche la Sua fede divina non dovette passare attraverso la prova: "Mio Dio, Mio Dio, perché Mi hai abbandonato?" Ma poi: "Ho sete" e "Tutto è compiuto". Dio ha sete della nostra sete, e questo non è un gioco di parole, ma la realtà più importante della nostra fede: il chiedere al Signore la salvezza, l'aver sete di una vita diversa, veramente compiuta. Uno dei fili conduttori delle Parole di Gesù riportate nei Vangeli è il seguente: se abbiamo una vita "compiuta" in Terra... rischiamo di non possedere la Vera Vita compiuta nel Regno di Dio, e viceversa: "Beati i poveri, perché di essi è il Regno dei Cieli".
Uno degli esempi più importanti di questo è la parabola del "ricco stolto". Qui non si parla d'Inferno, ma di morte e basta. Un ricco aveva ottenuto un buon raccolto... mi costruirò dei granai più grandi e me la spasserò per molto tempo... Stolto! Questa notte stessa ti sarà chiesta la vita! Leggendo solo i "fatti" pare quasi che il Signore non accetti che uno se la goda, anche in maniera "legittima". In realtà questa parabola vuole farci capire che se siamo "compiuti" nella carne, rischiamo di non esserlo nello Spirito, che ovviamente è infinitamente più importante, perchè "È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla". Anche in questo caso, occorre leggere un po' in profondità: nessuno visse così in pienezza Spirito e Materia come Gesù, Pane spezzato (la Sua Carne) e Vino versato (il Suo Sangue). Il fatto è che Gesù cerca sempre di esortare tutti noi a "innalzare il punto di vista", ossia ad avere uno sguardo più ampio sulla nostra ed altrui vita, sull'esistenza, sulla storia, sulla religione... perché il Padre è infinitamente più in là di ogni nostra aspettativa, ma, al contempo, ci è vicinissimo, ci vivifica e ci dona la vita eterna. Gesù desidera che siamo in ricerca, anche se questo può farci soffrire, perché prima o poi il bruco deve trasformarsi in farfalla. È lo Spirito che dà la vita poiché è l'Essere di Dio in noi, senza il Quale la carne è solo materia inanimata. Anzi, di più, la carne non esisterebbe affatto senza lo Spirito. Infatti, chi potrebbe anche solo vederla od esserne consapevole? Quando un uomo o un animale muoiono, si passa dal soggetto "persona" o "animale" all'oggetto che chiamiamo "cadavere". Il sostantivo "salma", infatti, significa "senza anima".
Che il Signore ci apra gli occhi e le orecchie, il cuore e la mente, e che ci aiuti a capire quando e come dobbiamo amare. Amen!
Gesù Cristo è Re di Misericordia e Giudice Giusto
Pur avendo un evidente senso della giustizia, alcune persone ritengono “fandonie” concetti come il Giudizio Universale. Anch’io credo che Dio sia Amore Infinito e, di più, Misericordia Infinita, ossia Amore che nulla chiede in cambio. Ma credo anche che sia Giustizia. Gesù Cristo stesso, rivolgendosi a Santa Faustina Kowalska, suora polacca vissuta 33 anni ed universalmente definita “Apostola della Divina Misericordia”, disse: “Io Sono Re di Misericordia e Giudice Giusto.” Questo si può leggere nel “Diario” di questa grande Santa e Mistica, dotata da Dio di doni e carismi eccezionali eppure modestissima, con poca cultura, solitamente dedita, nei vari conventi in cui ha vissuto, alle mansioni più umili: giardiniera, cuoca e portinaia. Penso che il Signore eserciti la Giustizia con infinita Sapienza. Non solo Egli Stesso è la Sapienza Incarnata, ma è anche amorevole pedagogia. Moltissimi esempi di questo si possono trovare nella Sacra Bibbia (Antico e Nuovo Testamento). In pratica tutto ciò ha essenzialmente due aspetti: il Signore punisce non solo per castigare, cioè per infliggere delle sofferenze, ma perché queste facciano comprendere la Verità, l'umiltà e molte altre cose importanti. Inoltre solo Dio sa trarre il bene dal male: molti sono gli esempi, come si è detto, fra cui il rinnegamento di San Pietro e la conversione di San Paolo. Da queste situazioni obiettivamente cattive (un uomo che per paura rinnega Gesù ed un altro che, pensando di servire Dio, perseguita i primi cristiani) il Signore trae il bene dal male, ossia porta a compimento la Sua opera. Anche nel caso della risurrezione dell'amico Lazzaro, Gesù affermò che questa morte non era una fine, ma era accaduta per manifestare la Gloria di Dio. L'esempio più alto di tutto ciò è la morte di Gesù in Croce: dal massimo male (l'uccisione del Figlio di Dio), il Signore trae il massimo bene (la salvezza di tutte le anime).
Ragazzi, non so voi, ma io temo il Demonio e l’Inferno; non sempre si tratta di una semplice "paura"; è così perché il “Santo Timor di Dio” è Volontà Divina. Egli infatti, pur essendo nostro Padre, chiede rispetto e adorazione. Inoltre cerco ogni giorno di amare Dio, il Signore, ed il prossimo. Tutto ciò, naturalmente, è spesso difficile, ma è l’unica Via. Chi ha mai potuto affermare, infatti: “Io Sono la Via, la Verità e la Vita” ? Solo Nostro Signore Gesù Cristo, naturalmente. Personalmente, preferisco essere una “pecora salvata” che un “leone condannato”, anche se il “leone” che è in me, spesso, si dibatte vigorosamente. Ciò non toglie che abbiamo il diritto e, spesso, il dovere, di ricercare, indagare, interrogarci, riflettere, approfondire, agire… in una parola: vivere. Ricordate la scena del film “Matrix” in cui Morpheus chiede a Neo di scegliere fra la conoscenza della “verità” ed il ritorno alla “solita vita”? Egli porge a Neo due pillole: una blu (solita esistenza) ed una rossa (la conoscenza). Naturalmente Neo sceglie la pillola rossa, ma cosa simboleggiano, a volte, questi colori? In un contesto religioso il Paradiso (blu) e l’Inferno (rosso)… Tuttavia non sempre il blu ed il rosso hanno questi significati, anzi. Nel Diario di Santa Faustina Kowalska, Gesù spiega il significato dei colori dei raggi che escono dal Suo Cuore: "Il raggio pallido rappresenta l'Acqua che giustifica le anime; il raggio rosso rappresenta il Sangue che è la vita delle anime. (...) Beato colui che vivrà alla loro ombra". Il Signore fece poi in modo che la visione di Santa Faustina diventasse la celebre immagine di Gesù Misericordioso, e Cristo Stesso volle che sotto questa immagine venisse sempre scritto: "Gesù, confido in Te!".
Nelle Sacre Scritture e nel linguaggio del Signore Stesso la simbologia è importante, ad esempio per quanto riguarda la "destra" e la "sinistra". In questo caso non c'è una connotazione politica, ma un significato biblico e universale. Leggiamo infatti, in Giovanni 21, 6: “Allora disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci.” Dal libro del profeta Ezechiele, capitolo 47, versetto 1: “Mi condusse poi all'ingresso del tempio e vidi che sotto la soglia del tempio usciva acqua verso oriente, poiché la facciata del tempio era verso oriente. Quell'acqua scendeva sotto il lato destro del tempio, dalla parte meridionale dell'altare.”
Decadenza e Rinascita
“Arnold Toynbee, concludendo i suoi lunghi studi sui cicli di decadenza della storia umana, ha scoperto che ognuno di essi coincide con una rinascenza dell’idolatria, e pertanto afferma che la nostra era sta pericolosamente affondando, sotto l’enorme peso d’una nuova mitologia, la quale ha divinizzato cose terrene, istituti caduchi e persone mortali: questi sono il danaro, la meccanica, la razza, i reggitori dei popoli, ed altre divinità, che sono state collocate nel novello olimpo.” Dal libro “Esiste Dio?” di Alfredo Mazzei
Arnold Toynbee (Londra 1852 – Wimbledon 1883) è stato un riformatore sociale ed economista, fondatore di numerose opere di carità, morto a soli trentun’anni.
Per quanto riguarda il fatto che i periodi della storia nota, in cui vi fu un aumento dell’idolatria, coincisero con una decadenza (spirituale e morale in primis, ma anche in seguito materiale, economica e politica) è degno di nota osservare che questa concezione dell’umana esistenza è comune a molti popoli, passati e presenti.
Secondo la religione induista, ad esempio, si susseguono ciclicamente quattro ere, di durata progressivamente minore, segnate da diverse caratteristiche. Due, in particolare, sono le seguenti: innanzitutto la decadenza, lenta ma costante, dei valori spirituali; poi la durata media della vita, che progressivamente diminuisce. L’attuale era, secondo gli induisti, è denominata “kali yuga” e, purtroppo, è la peggiore.
Gli indù, inoltre, affermano che, ogniqualvolta i valori spirituali, religiosi e morali subiscono una degradazione, Dio interviene. Interviene secondo la Sua Santa Volontà in vari modi, percepibili o meno, ma in ogni caso interviene.
È interessante notare quanto tutto ciò sia in comune con la nostra Fede Cristiana, benché chi scrive sia convinto che Dio si sia pienamente rivelato solo in essa: anche secondo la Sacra Bibbia, anticamente, gli uomini vivevano più a lungo di oggi, benché la scienza medica abbia fatto numerosissime scoperte e salvato milioni e milioni di vite. Inoltre, sempre secondo l’Antico e Nuovo Testamento, ogni volta che il popolo (dapprima solo quello Eletto, poi tutta l’umanità) prende vie sbagliate, Dio interviene. Interviene, naturalmente, lasciando l’uomo libero di decidere, ma comunque interviene, anche in maniera molto forte.
Nell’Antico Testamento, ogni volta che il popolo si piegava all’idolatria, Dio mandava i Suoi messaggeri, i Profeti, ad annunziare la Sua Parola.
Ora, cosa significa “idolatria”? Letteralmente significa “adorare qualcosa che non è Dio”.
Dio solo, infatti, deve adorato. Sarebbe infatti una stoltezza adorare ciò che è creato (vivente oppure no), al posto del Creatore. Eppure noi tutti, prima o poi, consciamente o inconsciamente, cadiamo in questo errore. Ripeto: anche senza accorgercene.
Storicamente gli “idoli” erano artefatti umani, essenzialmente sculture in pietra, legno o altri materiali, a cui veniva innanzitutto attribuito un carattere divino, spesso operante in una particolare sfera del vivere umano (l’agricoltura, la procreazione, il benessere economico, etc.). Sebbene tutto ciò, all’inizio fosse essenzialmente causato da ignoranza dell’Unico Vero Dio, che è Spirito, col tempo ciò divenne fonte di decadenza, dal momento che Dio, più volte ed in vari modi, si era rivelato all’umanità. In particolare, per quanto riguarda il popolo d’Israele, in cui si manifesta la Rivelazione, la punizione suprema, inflitta dal Signore al popolo, era l’esilio, accompagnato da prigionia e sottomissione ad altre nazioni.
La metafora o contrappasso è piuttosto chiara: come il popolo aveva adorato falsi dei stranieri, così poi veniva condotto a servire gli stranieri stessi.
Tutto ciò è storicamente accertato e provato, ma analizziamo meglio il concetto di decadenza, espresso in vari modi da numerose culture in tutto il mondo.
Il cosiddetto “contrappasso”, di ben nota dantesca memoria, è presente in tanti avvenimenti narrati nelle Scritture. Ad esempio, durante uno dei tanti momenti di decadenza e “prostituzione” agli idoli da parte del popolo d’Israele, Dio si manifestò al Profeta Osea e gli disse: “Sposa una prostituta e genera figli di prostituzione, perché il paese si è prostituito, avendo abbandonato il Signore”. Osea ubbidì ed ebbe, da una prostituta, prima un figlio e poi una figlia. Il Signore ordinò a Osea: “Chiamala Non-amata, perché non avrò più pietà della casa d’Israele, così che Io conceda loro il perdono. Della casa di Giuda, invece, avrò pietà e li salverò per mezzo del Signore, loro Dio; non li salverò con l’arco, con la spada, con la guerra, né con i cavalli e i cavalieri.” La donna partorì poi un altro figlio ad Osea e il Signore gli disse: “Chiamalo Non-popolo-mio, perché voi non siete il mio popolo e Io non sono il vostro Dio."
Da tutto ciò si possono trarre alcuni insegnamenti:
1) La vita del profeta come Segno: Dio, spesso, benché Spirito Onnipotente e Trascendente, scrive le Sue Leggi d’Amore con la carne e con il sangue. Di questo abbiamo espressione massima nella Morte di Gesù Cristo in Croce. La Croce, afferma San Paolo, è scandalo per i Giudei e stoltezza per i Greci. Scandalo per i Giudei, poiché hanno visto il loro Dio morire su un patibolo, inerme e sanguinante. Stoltezza per le raffinate menti elleniche, poiché era ben lontana da loro la concezione di un Dio che si facesse così miseramente uccidere dagli uomini. Apparentemente il pensiero è il medesimo, ma la differenza è sostanziale: i Giudei, benché abbiamo inchiodato alla Croce Gesù Cristo, credono. I Greci, invece, sono pagani, e San Paolo ebbe come missione primaria l’annuncio del Vangelo ai pagani, tanto che è definito “L’Apostolo delle Genti.” Anche la vita del profeta Geremia fu un “segno”. Diversamente dal profeta Osea, però, il Signore gli ordinò di non sposarsi. Tutto questo, sempre per mostrare l’allontanamento del popolo da Dio, che è Lo Sposo per eccellenza.
2) L’infinito Amore che Dio ha per le Sue creature, benché spesso gli avvenimenti dell’umanità appaiano tragici e mostruosi. Questo Amore è quasi commuovente: Egli ordina infatti ad Osea: “Chiamalo Non-popolo-mio, perché voi non siete il mio popolo e Io non sono il vostro Dio.” Dio è infinitamente Sapiente, ma è anche così Semplice… e così triste, quando non lo amiamo…
3) Benchè ad Osea vengano rivolte parole molto dure, che affermano addirittura la Volontà di Dio di non perdonare i peccati del popolo, Egli è sempre e comunque Perdono, dal momento che il culmine della Rivelazione, che è Gesù Cristo, afferma chiaramente questo.
La differenza principale, riguardo alla decadenza ed alla rinascita, fra alcune religioni e la Fede nel Signore, Creatore del Cielo e della Terra, in pratica la Fede nel Dio di Abramo, consiste nel fatto che le prime affermano che la storia umana ha un andamento ciclico (rappresentabile da un cerchio o più cerchi in successione), in cui si alternano ere “buone” ed ere “cattive”, mentre il nostro credo afferma che la storia ha UN fine e LA fine. La storia ha UN fine poiché l’esistenza umana non è frutto del caso, ed esiste LA fine, poiché ci sarà la fine dei tempi, in cui “Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi”, come si legge nell’Apocalisse. Questa visione della storia è rappresentabile da una linea retta, con alti e bassi, ma che comunque punta verso l’alto.
La scienza ufficiale afferma che il caso esiste. In merito sono stati fatti anche numerosi studi di tipo fisico, matematico, biologico, etc.
Ora, la scienza afferma anche che esiste il principio di causa-effetto, per cui tutto ciò che esiste ha una causa, anche se a volte ignota. Come tutto ciò che avviene, ha una causa. E’ possibile che esista il caso, in un universo in cui vige il rigido principio di causa-effetto? Non lo so o, meglio, non penso. Albert Einstein affermò che “Dio non gioca a dadi”, riferendosi soprattutto alla nascente meccanica quantistica, la quale afferma che, a livello atomico e subatomico, esistono leggi di probabilità, studiabili con metodi statistici. Ad esempio, un elettrone di un atomo, ha la “probabilità” di trovarsi ad una certa distanza dal nucleo, che lo attrae costantemente, ma non la certezza, anche se comunque esistono ben determinati livelli o “gusci” elettronici, in base all’energia che essi possiedono.
Se il caso non esiste, tutto è determinato? E’ possibile. Ma come si spiegherebbe, allora, il libero arbitrio dell’uomo? Non intendo fare speculazioni al riguardo, ma affermo solo quanto disse l’Arcangelo Gabriele al Sacerdote Zaccaria, padre di Giovanni il Battista, il precursore di Gesù Cristo: “Nulla è impossibile a Dio”.
Sono profondamente convinto di questo, e non lo ritengo affatto un modo per aggirare la questione. Anzi, a ben vedere è l’unica spiegazione possibile. Le prove di ciò, inoltre, se vengono ricercate, appaiono veritiere.
Innanzitutto l’Onnipotenza di Dio appare in numerosissime occasioni nelle Sacre Scritture, tanto che essa è un dogma di fede. Inoltre Essa si è manifestata in altrettante numerosissime occasioni sia in tempi recenti sia nel tempo presente. Dove? A chi? Come?
Dove: in vari luoghi, in tutto il mondo.
A chi: a tanti uomini e donne, più o meno santi, a volte anche grandi peccatori.
Come: in vari modi, in tutto il mondo.
Gli esempi sono, letteralmente, centinaia e anche più.
Ricordiamone solo uno: la Madonna di Guadalupe, Messico.
Il sabato mattina del 9 dicembre 1531, la Vergine Santissima apparve a Juan Diego, indigeno “macehuales” di Cautitlan.
Fin qui, si potrebbe affermare che si sia trattato di una semplice allucinazione. Ma vediamo il seguito. Juan Diego, in seguito all’apparizione, si recò dal Vescovo, frate Juan de Zumàrraga, dell’Ordine dei Francescani, il quale chiese un “segno dal cielo” per poter credere alla visione dell’indigeno.
In seguito ad un’altra apparizione della Madonna, Juan Diego si recò sulla cima della collina di Tepeyrac, dove potè cogliere delle splendide rose di Castiglia, sbocciate miracolosamente fuori stagione. Ma non è tutto. Il nostro veggente colse le rose e le mise nel suo mantello (tilma). Andò poi dal Vescovo per mostrargli il prodigio e, quando aprì il mantello, su di esso era impressa l’immagine della Santa Vergine. Il mantello venne esaminato più volte, e se ne concluse che recava un’immagine detta “acheropita”, ossia non dipinta da mano umana.
Tutto ciò è sicuramente miracoloso, ma cosa è un miracolo? La definizione “tecnica” è la seguente: la sospensione temporanea, da parte di Dio, delle leggi naturali, concomitante con l’opera della Sua Onnipotenza.
Dal momento che i miracoli, nel corso dei secoli, sono stati migliaia, se non di più, è possibile ancora confutare la loro esistenza? No, certamente. E’ però possibile sostenere che le loro cause siano “ignote”, ossia non ancora spiegate dalla scienza. In tutto ciò cosa vedo? Vedo l’azione misericordiosa di Dio, che lascia sempre una spazio per credere ed uno per non credere. Ricordiamo però, a questo proposito, la cosiddetta “scommessa” di Pascal, grande scienziato, filosofo e credente: se scommettiamo che Dio non esiste moriamo e, necessariamente, crediamo di finire con la morte. Non c’è un guadagno. Se scommettiamo, invece, che Dio esiste, moriamo ugualmente, ma si apre la possibilità di un guadagno eterno.
Torniamo all’argomento principale di questo scritto: decadenza e rinascita.
Cos’è una decadenza? E’ una “caduta”. La simbologia è chiara: da una posizione “più in alto”, che da sempre l’uomo collega a qualcosa di “buono”, si ha una discesa ad una posizione “più in basso”, che si collega a qualcosa di “meno buono” o addirittura “cattivo”.
Quando una persona inciampa e cade, si ha per l’appunto una caduta, con conseguenze non certo piacevoli. E’ l’universale forza di gravità, che regola il moto di pianeti, stelle, galassie, nebulose, etc. In particolare, nel lessico comune, la decadenza include l’accezione di “periodo oscuro”, “male morale”, “incapacità di distinguere il bene dal male”, etc.
La Storia della Salvezza inizia con la Creazione, che è indubbiamente qualcosa di buono, poiché il nulla assoluto è inconcepibile (torneremo su questo argomento). Subito dopo si ha la caduta prima dell’uomo, simile alla caduta dello spirito del male, causa prima del male e della Sofferenza nel mondo. Come Lucifero, l’antico angelo “portatore di luce”, fu creato molto potente da Dio, ed in seguito volle farsi uguale a Dio, così il primo uomo e la prima donna, Adamo ed Eva, spinti da satana, credettero di farsi uguali a Dio.
Analizziamo un momento questa prima caduta. Dio, essendo buono (ce lo dice Gesù: “Dio solo è buono”), volle creare degli esseri innanzitutto felici, ma anche “a sua immagine e somiglianza”. Felici per due ordini di motivi: innanzitutto la costante amicizia, visione e vicinanza di Dio, ed in secondo luogo perché aventi la signoria su tutto il creato.
Cosa significa “a sua immagine e somiglianza”? Penso che la somiglianza principale con Dio sia la “coscienza” cioè la consapevolezza, nell’uomo, di “essere cosciente”. Spesso si definisce anche “autocoscienza”, ma penso che siano due cose diverse. L’autocoscienza, infatti, ha un moto centripeto: so che io esisto. La coscienza ha un moto centrifugo: percepisco, sento, gusto l’esistenza, naturalmente anche la mia.
Solo Dio possiede, in pienezza, entrambe le percezioni. Quando Mosè chiese a Dio il Suo Nome, Egli gli rispose: “Io Sono Colui Che Sono”. Quindi il più grande, potente, santo, eterno, infinito Io, appartiene solo a Dio. Nello stesso tempo, come dice San Giovanni, Dio è Amore. Ossia Dio è un movimento che procede dal suo Eterno ed Infinito Centro verso l’Infinito, l’Eternità che Egli stesso ha creato e da cui mai si separa, in particolare non si separa mai dalle Sue creature.
Indubbiamente la questione dell’io, della coscienza e dell’autocoscienza è molto complessa. Possiamo solo fare dei ragionamenti, ma probabilmente l’uomo, nella sua condizione terrena, non ne verrà mai a capo totalmente.
Si diceva prima che il nulla assoluto è inconcepibile. Proviamo ad immaginare che nulla esista, ma proprio nulla. E’ possibile? Se meditiamo un po’ su questo pensiero, la risposta è: no, non è possibile. Qualcosa, in particolare Qualcuno, deve pur esserci! Dio e noi, naturalmente. Tutto il percepibile e tutto l’invisibile. Non per niente il Credo (Simbolo Niceno-Costantinopolitano) recita: “Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.”
Si ha quindi, nella storia umana, una iniziale grande caduta, che precede un lungo e faticoso cammino di “salita”. Questo è il movimento più grande di decadenza-rinascita. In mezzo ci sono miriadi di cadute e rinascite, sia collettive, sia personali. Questo è sotto gli occhi di tutti, e non ha bisogno di dimostrazioni.
Qual è la causa della caduta personale e di quella collettiva? E’ il peccato, ossia una trasgressione nei confronti dei comandamenti divini. In che modo l’uomo viene a conoscenza dei comandamenti divini? Innanzitutto secondo una “legge morale” scritta nel suo cuore e nella sua mente, in secondo luogo per mezzo della conoscenza delle Scritture.
Perché esiste una morale? E’ Volontà Divina. Noi tutti percepiamo il piacere ed il dolore: istintivamente cerchiamo il piacere e fuggiamo il dolore. Ebbene, il Signore afferma più volte che saremo felici solo a patto di osservare la Sua Legge.
Dopo la prima grande caduta, qual è stata la seconda? E’ stato un omicidio: Caino uccide Abele. La volontà di affermazione del proprio io su un altro io, eliminandolo.
Ma questo porta alla felicità? A volte l’uomo tenta d’imporre uno o più “io” su altri “io”, ma cosa ottiene? Subito un soddisfacimento del proprio “io”, che si ritiene superiore, ma poi c’è la solitudine, e la solitudine più grande è l’allontanamento di Dio, Fonte di ogni cosa, Spiegazione ad ogni quesito, Origine e al tempo stesso Fine di tutto e di tutti.
Ciò è affermato chiaramente nel Libro dell’Apocalisse, ultimo Libro delle Scritture, scritto sotto ispirazione divina da San Giovanni Apostolo, quando si trovava sull’isola di Patmos.
In questo Libro, Gesù Cristo, nella Sua sfolgorante Maestà (non più inerme sulla Croce), afferma: “Io Sono l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine.”
Decadenza non significa solo caduta, peccato, abbruttimento, perdita, allontanamento, ma anche “lasciarsi andare”, credere di “essere arrivati”. Non scrivo questo come mia idea personale, ma in rapporto alle Scritture. Già nell’Antico Testamento sta scritto che non è bene pensare di avere abbastanza: questo mi basta, sono a posto, tranquillo e beato.
La spiegazione migliore di questo aspetto dell’esistenza, però, ci viene data da Gesù nel Vangelo, con la cosiddetta “Parabola del ricco stolto”, che riporto di seguito.
Disse poi una parabola:
"La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? E disse: Farò così: Demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé e non arricchisce davanti a Dio”.
Gesù, dunque, ci esorta non solo a non confidare nelle ricchezze terrene, ma anche a “non lasciarci andare”. Questo concetto è molto importante, e si collega al concetto di “vigilanza”. Spesso, infatti, Gesù esorta a “vegliare”: “Ve lo ripeto, vegliate!”.
Posso testimoniare personalmente due casi in cui ho potuto vedere questa Parola di Dio in azione nella vita di due persone, due donne che chiamerò qui con nomi inventati: Laura e Antonietta.
La prima, Laura, conduceva una vita piuttosto felice. Aveva un impiego fisso, un marito e un figlio. Laura un giorno mi confidò che si sentiva “a posto”, “bene”. Non era ricca, ma viveva una vita tranquilla e penso anche piuttosto serena. Tutto questo, però, finì bruscamente. Il marito, infatti, la lasciò per mettersi con un’altra donna. Il colpo, per lei, è stato durissimo, tanto da finire “in cura per motivi psichici”. E’ da parecchio tempo che non la vedo, ma ho dei motivi per pensare che ora stia meglio.
La seconda, Antonietta, non è andata “in cura”, anzi, ora sta bene. Tuttavia anche lei ha vissuto due esperienze traumatizzanti, proprio quando si sentiva serena, senza particolari problemi. E’ stata infatti vittima di due incidenti, aventi la medesima meccanica: è stata investita due volte, quando stava camminando a piedi. Ha sofferto molto, ma si è ripresa.
Cosa possiamo dedurre, da tutto ciò? Innanzitutto non dobbiamo affatto pensare che Dio gioisca di queste cose. La questione non è tanto: sto bene o sto male. La questione, per Dio e per noi è: mi sto evolvendo spiritualmente?
Spesso occorrono grandi sofferenze, per purificare l’anima ed evolversi spiritualmente.
Questo porta ad una complessa questione: esattamente, cosa è lo Spirito?
Possiamo tentare di rispondere in questo modo: esiste innanzitutto lo Spirito di Dio, che tutto governa, e lo spirito dell’uomo, che “tenta” di governare a sua volta l’uomo medesimo.
Esistono dunque dei livelli. Un giorno un Sacerdote francescano mi disse che tutto, ma proprio tutto, è governato da Dio, anche le forze del male, benché esse, naturalmente, non lo vogliano affatto. Siamo sicuri di questo? Certo. Citerò un episodio della vita di San Francesco d’Assisi: una notte San Francesco stava dormendo a casa di un Vescovo suo amico. Egli però, non riusciva a dormire nel bel letto che aveva a disposizione. Questo, secondo le biografie del Santo, è da imputarsi a “demoni castaldi” ossia “servitori” che, per ordine di Dio, tormentavano il Santo per non farlo dormire nel comodo letto della bella casa del Vescovo, dal momento che San Francesco doveva sempre vivere con Madonna Povertà. Egli, mi sembra, trovò pace solo quando decise di mettersi a dormire per terra. Naturalmente Dio non agisce con malizia; fece così perché amava Francesco ed era “santamente geloso” della sua santità.
Ricapitolando, tutto è governato dallo Spirito di Dio. Anche l’uomo è dotato di uno spirito (e penso anche gli animali, fatte le debite differenze). La differenza sostanziale fra lo Spirito di Dio e quello umano, penso consista nel fatto che, mentre il primo è Onnipotente, Onnipresente, Onniveggente ed Onnisciente, al secondo spetta soprattutto fare delle scelte, e le scelte più importanti riguardano il bene ed il male.
Ciò detto, non intendo naturalmente negare la realtà corporale dell’uomo, il quale ha un cervello. Cervello che pure è molto complesso e delicato. Basta infatti un po’ di sonnifero e si va a nanna, e dov’è lo spirito? Penso che la mente umana sia un po’ sulla immaginaria linea di confine fra lo Spirito e la materia. Dio vuole che sia lo Spirito a dominare la materia, e non viceversa; dobbiamo comunque sempre tenere presente che il confine è solo immaginario. Un filosofo indiano affermò che “tutto è spirito”.
Tutto si rapporta all’anima, all’entità percipiente che ogni essere umano possiede (e penso anche animale, sebbene a livelli diversi).
Immaginiamo di trovarci di fronte ad una persona con un forte mal di denti.
Immaginiamo di poter misurare, con opportune apparecchiature, le correnti elettriche che dai nervi dei denti giungono al cervello, dove sono elaborate.
Immaginiamo pure di poter seguire “in diretta” tutti i percorsi neuronali di tali differenze di potenziale.
Ebbene, anche potendo fare tutto ciò, potremo mai sperimentare scientificamente la sensazione del dolore, che solo questa misteriosa “entità percipiente” dell’uomo può sentire e vivere? Non penso che ciò sia possibile. Ebbene, lo Spirito non si può misurare scientificamente, ma ogni giorno non percepiamo, pensiamo, agiamo grazie alla sua azione e percezione continue.
Solo in Dio riposa l'anima mia
“A che giova ad un uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la sua anima?”
Gesù di Nazareth, il Cristo
A volte ci sentiamo forti, sicuri e decisi nelle nostre intenzioni.
Ma cos’è mai tutta questa sicurezza, al cospetto di un agonizzante in ospedale, magari intubato, con flebo varie piantate nelle vecchie e stanche vene, nudo sotto un lenzuolo anonimo, con tanto di tracheotomia e morfina in circolo?
Non intendo criticare l’uomo nella sua effimera forza, né tantomeno esaltare l’agonizzante, tuttavia rieccheggiano le parole di Qoelet: “Vanità delle vanità, tutto è vanità”.
Nessuno nasce per se stesso e nessuno muore per se stesso, afferma San Paolo.
Come dobbiamo comportarci, dunque, di fronte a questo vero e proprio “mistero della vita?”. Una risposta potrebbe essere: “Cerchiamo di dare il meglio di noi”. Questo è già tanto e degno di lode, ma rischia di spegnersi nella tomba, se non sappiamo il perché dobbiamo comportarci così. Gli antichi studiavano, come potevano, il mistero della morte, e sentenziavano l’immortalità dell’anima.
L’anima, in effetti, è immortale. Avevano ragione. Perché, tuttavia, riveste un corpo, per un limitato periodo temporale? Non lo sappiamo.
C’è chi paragona l’universo ad un “parco giochi per le anime”. L’ipotesi è suggestiva, ma come si concilia con il Messaggio di Gesù Cristo, che molto seriamente parla di un Giudizio? Tutto, in natura, tende a bilanciarsi, come si mescolano fra loro caffè e latte, e chi riesce a separarli? Anche il male deve essere pagato, come è pagato il bene. Ma Chi è che paga? Come? Quando? Naturalmente è Dio solo.
Egli è infinitamente trascendente, ma anche infinitamente immanente, ossia partecipe del Suo Creato e delle Sue Creature. Don Pollano scrisse che nessuno è più concreto di Dio. Egli sa esattamente cosa vuole compiere, quando compierlo e come compierlo. Solo Lui conosce tutto. Il Santo Papa Giovanni Paolo II disse: “Gesù sa cosa è nell’uomo. Solo Lui lo sa.”
Cosa siamo, alla fine? Nudi, rantolanti, il cuore arriva alla fine della sua corsa di milioni e milioni di battiti, il cervello a poco a poco si spegne, e viene decretata la morte. In ospedale si parla di “accertamento di morte”. Elettrocardiogramma piatto per venti minuti, elettroencefalogramma piatto per sei ore… I medici lo sanno molto bene, ma non osano spingersi oltre.
Il corpo umano è costituito da circa centomila miliardi di cellule… come si spengono in fretta… una vera e propria reazione a catena.
La faccia del morente: con un po’ di barba, senza luce… ma non sempre! Non sempre. Si narra di tante morti di antichi monaci: luci, profumi, cori angelici…
Non è fantasia, ma verità. Già la fantasia è verità effimera nella mente, tanto più ciò che chiamiamo “realtà”. Tanto più, inoltre, ciò che trascende la realtà sensibile, molto più reale del reale stesso. Un gioco di parole? No, troppi pensatori, Santi e Martiri lo testimoniano.
“Imparate da me, che sono mite e umile di cuore”, afferma Gesù.
Stiamo buoni e bravi, dunque, perché la falce miete e la mietitura non è lontana da noi, come a volte pensiamo.
Ripeto: rantolanti, agonizzanti, intubati, narcotizzati, tracheotomizzati, con elettrodi vari, catetere incluso… La fossa arriva, ma anche la risurrezioni dai morti.
San Paolo, infatti, afferma che se Gesù non è risuscitato dai morti, vana è la nostra fede. Il corpo umano è veramente “polvere di stelle”. Gli elementi chimici che in gran parte lo compongono, come il carbonio, l’ossigeno, il ferro, etc. sono infatti sintetizzati nelle stelle, soprattutto quando la stella sta morendo. Questo è quanto afferma la scienza.
“Se il chicco di grano caduto in terra non muore, resta solo. Ma se muore porta molto frutto”, afferma Gesù.
Sia lode eterna a Colui che sta alla porta e bussa, come è scritto nell’ultimo Libro della Bibbia, l’Apocalisse, Rivelazione Profetica che San Giovanni Apostolo ebbe sull’isola di Patmos.
Vieni, Signore Gesù!